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Quante bugie per sgonfiare l'assoluzione

Dalla Severino alla Cassazione, per gli anti Berlusconi il verdetto è frutto di norme ad personam: ma non è vero

Quante bugie per sgonfiare l'assoluzione

Milano - No, stavolta le leggi ad personam c'entrano davvero poco. La sentenza della Corte d'appello di Milano che ha assolto con formula piena Silvio Berlusconi nel caso Ruby è figlia unicamente di una valutazione rigorosa dei giudici e non di modifiche delle norme varate in gran fretta dal Parlamento per salvare il Cavaliere. Per smontare le chiacchiere che circolano in queste ore, basta leggere gli atti del processo e confrontarli con le norme.

SALVATO DALLA «SEVERINO»? MACCHÉ

Non è vero che Berlusconi sia stato assolto l'altro ieri dalla Corte d'appello grazie alla legge Severino, che ha modificato il reato di concussione e introdotto nel codice il reato di induzione. La «Severino» è del 28 novembre 2012, mentre la condanna in primo grado del Cavaliere è del giugno 2013: vuol dire che, nonostante la nuova legge, i primi giudici ritennero di poter tranquillamente condannare l'imputato. Oltretutto Berlusconi venne condannato non per il nuovo reato di induzione, ma per il vecchio reato di concussione, che punisce il pubblico ufficiale che «costringe» la vittima.

NON È MERITO DELLA CASSAZIONE

Dopo i dubbi sollevati da numerosi tribunali, la «Severino» è stata interpretata da una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione nel marzo scorso. È questo l'unico fatto nuovo intervenuto tra il processo Ruby di primo e di secondo grado. Ma anche la decisione della Cassazione aveva lasciato aperta la strada per una condanna di Berlusconi per concussione, affermando che la minaccia di un danno grave può essere «esplicita o implicita». Esattamente quanto Ilda Boccassini, il procuratore generale de Petris e la sentenza di primo grado sostengono sia avvenuto con la telefonata di Berlusconi in questura. Il problema, semplicemente, è che per i giudici non ci fu nessuna minaccia.

UNA LEGGE INEVITABILE

La «Severino» venne approvata dal governo Monti, con il voto favorevole di una maggioranza che andava dal Pdl al Pd, sulla base di ripetute critiche che erano venute dagli organi di giustizia europei.

INDUZIONE O CONCUSSIONE? CAMBIA POCO

Se la Corte d'appello avesse voluto applicare a Berlusconi la «Severino», ritenendo che i poliziotti fossero stati «indotti» e non «costretti» a rilasciare Ruby, avrebbe potuto comunque derubricare l'accusa. Nella sua requisitoria di un anno fa, Ilda Boccassini aveva chiesto la condanna dell'imputato per «induzione», e comunque aveva invocato una condanna a sei anni.

LA «SEVERINO» LO HA CACCIATO

Difficile considerare la «Severino» una legge a favore di Berlusconi: è stata proprio questa legge a mettere fuori dal Parlamento chi è stato condannato in via definitiva. È in base alla «Severino» che nel novembre scorso Berlusconi è stato dichiarato decaduto dalla carica di senatore. Se non ci fosse la «Severino», il Cavaliere potrebbe tornare in Parlamento tra poco più di un anno, appena scontata la condanna per i diritti tv.

E LANZAROTE NON C'ENTRA

C'è chi sostiene che Berlusconi sia stato prosciolto dall'accusa di avere fatto sesso con Ruby quando era minorenne, solo grazie alla convenzione di Lanzarote, adottata dall'Italia nell'ottobre 2012. È vero il contrario: la «Lanzarote» inasprisce il trattamento per i clienti delle prostitute minorenni, rendendoli punibili anche se non sanno la vera età delle ragazze (a meno che non si tratti di ignoranza inevitabile). Con la «Lanzarote» il tribunale avrebbe potuto condannare Berlusconi. Che invece è stato assolto in base ad una norma inserita nel codice penale nel 1998, quando il caso Ruby non era neanche immaginabile.

INTERCETTAZIONI? NO PROBLEM

L'unico punto su cui il procuratore generale de Petris ha voluto replicare alle difese prima della sentenza è stata la utilizzabilità dei tabulati telefonici acquisiti dalla Procura durante l'inchiesta. Per le difese, non si possono usare. Ennesimo cavillo? In realtà, tema è stato ritenuto del tutto irrilevante dai giudici: anche tenendo per buone le intercettazioni, non c'è prova che siano stati commessi dei reati.

È UNA SCONFITTA DI ILDA

È ben vero che in aula a rappresentare l'accusa non c'era Ilda Boccassini ma, trattandosi di un processo d'appello, il procuratore generale Piero De Petris. Ma sarebbe ingiusto attribuire a lui le responsabilità della debacle. De Petris ha potuto lavorare unicamente sulla base del materiale raccolto dalla collega, e nella sua requisitoria ha fatto di tutto per salvare il salvabile, rimediando ad una serie di buchi, soprattutto giuridici.

Non ce l'ha fatta, ma non è colpa sua.

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