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Quei kamikaze lanciati a 80 all'ora e il rischio di attentati anche in Italia

La nuova minaccia è alla portata dei «cani sciolti» della jihad Gli apparati di sicurezza del Viminale alzano l'allerta sul fenomeno

Quei kamikaze lanciati a 80 all'ora e il rischio di attentati anche in Italia

Per la terza volta, dopo Nizza e Berlino, anche a Stoccolma a seminare morte in una città europea è un'arma a disposizione di chiunque: il camion. E l'innalzamento del livello di sicurezza deciso nei giorni scorsi dal Viminale si focalizza sopratutto sulla realtà del tutto nuova costituita dal pericolo su ruote. Finora, almeno un elemento di tranquillità in Italia si dava per acquisito: siamo un paese in cui la circolazione clandestina di armi e esplosivi è minore che altrove, e in larga parte monopolizzata dalla criminalità comune; di conseguenza la cellula islamica spontanea, il terrorista individualista deciso a colpire sul nostro territorio doveva risolver prima di tutto il problema dell'approvvigionamento del suo arsenale; e infatti spesso nelle abitazioni degli jihadisti arrestati si trovano manuali, spesso scaricati da Internet, per la fabbricazione domestica di esplosivi utilizzando sostanze di facile reperibilità. Ma l'efficacia di questi ordigni autoprodotti è spesso scarsa e imprecisa.

Utilizzare i camion è invece, dal punto di vista dei terroristi, l'uovo di Colombo: rubare un Tir è quasi un gioco da ragazzi, soprattutto se non si ha niente da perdere. E anche senza bisogno di imbottirlo di esplosivo, un autoarticolato lanciato sulla folla può essere un'arma devastante, come dimostra la carneficina di Nizza. Così, in queste settimane, gli apparati di sicurezza italiani si stanno tarando su questo nuovo tipo di minaccia. In Italia, fino a prova contraria, non esistono cellule estremiste connesse direttamente con organizzazioni internazionali né tantomeno con l'Isis. Esiste però un folto substrato di integralisti e simpatizzanti della jihad, tra i quali l'esempio di imprese come quelle che hanno colpito Francia, Germania e Svezia può fare facilmente presa. La principale preoccupazione delle nostre forze di sicurezza è che da questo genere di soggetti - singoli «cani sciolti» o cellule di poche unità - possano scattare fenomeni di emulazione. E l'utilizzo dei camion è uno strumento quasi impossibile da prevenire. L'unico deterrente efficace sono i cosiddetti apparati di «sicurezza passiva», come le barriere in cemento che stanno diventando un cupo elemento di arredo urbano dei centri cittadini. Ma è chiaro che non tutto può essere protetto in questo modo, e di scenari da incubo ce ne sono tanti. Si pensi solo alla folla in uscita da uno stadio al termine di una partita di calcio, dove un Tir lanciato a 80 all'ora farebbe più morti di una bomba di medio potenziale.

Così in queste ore, oltre a intensificare - grazie anche ai soldati dell'operazione «Strade sicure», che ne sono il vero perno, i sistemi di sicurezza dei centri cittadini e degli obiettivi a rischio - si torna a lavorare su due fronti: prevenzione e tempi di reazione. La prevenzione passa attraverso il monitoraggio degli ambienti a rischio, sia reclutando nuovi informatori e infiltrati, sia con i nuovi software che gli 007 dell'Aisi stanno impiegando per filtrare i flussi di comunicazione via mail e gli accessi a siti jihadista: quasi sempre il terrorista fai-da-te si abbevera prima delle sue imprese a istruzioni e incitamenti via web.

E poi si lavora sui tempi di reazione: di cui l'episodio di ieri mattina a Milano ha fornito un test piuttosto rassicurante.

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