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Quei peones a 5 Stelle che minimizzano la crisi per salvare la poltrona

Terrore tra gli eletti al primo mandato. Sibilia rassicura: «Migliorare l'Italia processo lungo»

Quei peones a 5 Stelle che minimizzano la crisi per salvare la poltrona

L'aria è così mefitica, nella palude gialloverde, che basta una gaffe di Salvini («Il governo? Durerà altri quattro mesi!») per gettare nel panico il sottobosco parlamentare e governativo grillo-leghista.

I più navigati spiegano che lo scontro tra titani Salvini-Di Maio è tutta scena, è la balorda campagna elettorale di alleati populisti che per ramazzare voti e rianimare le loro basi deluse devono tirarsi i piatti in pubblico. «La lotta nel fango tra i due finirà magicamente il 27 maggio, vedrete», profetizza il capogruppo Pd al Senato Marcucci. «Poi a Roma tornerà il sereno. Del resto, meglio azzuffarsi su Raggi e Siri che ammettere il fallimento di tutte le loro politiche economiche». Ma la paura che questa guerra dei pupi, al grido di «grillini merde» (Salvini) e «leghisti ladri» (Di Maio), finisca fuori controllo e faccia implodere la maggioranza è diffusa.

Quando a sera finisce nel mirino anche Giancarlo Giorgetti per l'assunzione del figlio di Arata, la tensione sale vertiginosamente. I Cinque Stelle chiedono direttamente a Salvini se «era a conoscenza di tutto questo». Viene tirato fuori dall'armadio Di Battista, caricato a molla contro la Lega: segno che la Casaleggio passa alle armi pesanti. E cresce la paura in casa grillina, dove crisi di governo e elezioni anticipate sarebbero deflagranti per le vite di tanti, catapultati dal nulla assoluto a ruoli di potere con un click. E infatti i miracolati pentastellati si affannano a rassicurare. «Certo, noi e la Lega siamo diversi ed è bene ricordarlo agli elettori», dice Mattia Fantinati, che certo non vuol perdere i galloni da sottosegretario alla Pa. «Ma guai a minacciare crisi: abbiamo un contratto di governo da portare a termine per il bene degli italiani». E conclude, parafrasando la famosa formula di Aldo Moro: «Siamo il governo delle divergenze parallele». Lo statista democristiano probabilmente non apprezzerà il parallelo.

Del resto, ricorda un altro personaggio inopinatamente passato dall'avvistamento degli Ufo al governo come Carletto Sibilia, «migliorare l'Italia è un processo luuuungo», quindi lasciateci lavorare. «Andremo avanti fino all'ultimo giorno», è il terrificante auspicio di Alvise Maniero, eletto grillino, «e per quattro anni ci sarà questo confronto sanamente vivo tra le due forze politiche». Il bello è che lo dice restando serio. Del resto anche i Tg della Rai, sotto l'occhiuta sorveglianza del Minculpop gialloverde, mettono una pudica sordina agli scontri nel governo, e raccontano al popolo che tutto va ben, madama la marchesa. In casa leghista però cresce il malessere, e il sospetto di un'offensiva giudiziaria contro di loro, attivamente coadiuvata dai cari alleati di governo. E il pressing su Salvini per staccare la spina aumenta. Lui, racconta il viceministro Rixi, dice di «starcene tranquilli e vedere cosa succede» e di «tenere fermi i gruppi parlamentari». Così però, continua, «il primo momento di difficoltà diventa esplosivo: non si deve per forza stare al governo.

Personalmente continuerò a mettere pezze, ma non si può vivere con chi fa i buchi nella barca».

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