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Quei "simboli del male" che durano un giorno

Quei "simboli del male" che durano un giorno

Cerchi nelle agenzie, butti l'occhio sui social, ma niente, zero risultati. A nessuno interessa ancora Roberto Garofoli, peccato. Roberto chi? Ma come, Roberto Garofoli, l'ex capo di gabinetto di Tria al ministero dell'Economia, uno dei «pezzi di m...» additato dal portavoce M5s Casalino come un nemico del popolo. Eppure soltanto a settembre si parlò per settimane di questo grand commis di Stato tra accuse di boicottaggio al reddito di cittadinanza e false voci di manipolazioni di decreti. Una farsa a 5 Stelle che tanto appassionò, ma di cui non cui resta neppure un granello di polvere dorata.

È tipico dell'era gialloverde vedere assurgere al ruolo di capri espiatori o di simboli del male figure di secondo piano che finiscono per monopolizzare e spaccare l'opinione pubblica. Sembra già un cold case quello di Armando Siri, il sottosegretario dimissionario che per una ventina di giorni è stato il fulcro dell'agenda politica italiana. Siri l'uomo di sottogoverno da cacciare subito, Siri il casus belli per tornare al voto, Siri l'emblema della politica condizionata da forze oscure, Siri il tallone di Achille di Salvini. Come ha ricordato signorilmente Luigi Di Maio, l'Armando non finirà tra i disoccupati grazie allo stipendio senatoriale da 13mila euro al mese. Ma per i tribunali mediatici del popolo è una figura che ha già dato a una platea volubile che fagocita con un solo boccone i suoi nuovi miti. Avanti il prossimo.

Ormai suscita solo indifferenza e sbadigli la figura di Simone Pillon, altro simbolo effimero della caccia alle streghe di giornata. Solo a fine marzo è stato per un paio di settimane il bersaglio di anticlericali, pseudolibertari e bestemmiatori ossessionati dal congresso delle famiglie di Verona. Pillon il retrogrado medievale, Pillon il sessuofobo, Pillon il leghista pericoloso con il cranio lucido e il papillon. Spenti i riflettori, ciao ciao anche a un eroe non pastorizzato già scaduto sugli scaffali dei supermarket della politica. Sui giornali di sinistra era addirittura «la vergogna chiamata Pillon», mentre oggi langue in una pagina semideserta su Facebook. Appena 29 miseri like per il suo grido «ottimo lavoro Matteo!» a commento della performance del capo negli studi di Lilli Gruber.

Non ci resta che aspettare la conclusione del Salone del Libro di Torino per vedersi offuscare la stella di Francesco Polacchi, assurto al rango di cavaliere nero dell'editoria italiana per aver pubblicato il libro su Salvini scritto da Chiara Giannini. E tra sussulti antifascisti e miseri calcoli elettorali di una sinistra con gli specchietti retrovisori, anche il patron di una minuscola casa editrice di estrema destra ha sforato abbondantemente il quarto d'ora di celebrità garantito a ogni essere umano.

E sarà così fino al prossimo protagonista a breve conservazione che il circo mediatico preleverà da un dignitoso anonimato per proiettarlo sotto le luci della ribalta. Ma il copione comincia a essere un po' logoro: bisogna fermare quel tizio, no va difeso, non scherziamo è pericoloso, ma cosa dite è un perseguitato.

In attesa di nuovi grandi leader, carismatici e duraturi, dovremo accontentarci di tante figurine destinate a tramontare all'alba.

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