Cronache

Quel talento del calcio travolto da un treno che correva più di lui

Dall'Africa agli Allievi del Milan. Ma una pedalata con le cuffiette ha interrotto il sogno di Isaac. È vivo, ma la serie A è ormai svanita

Quel talento del calcio travolto da un treno che correva più di lui

Un attimo c'era lui che pedalava in faccia al sole dell'ultimo pomeriggio di agosto, con la potenza africana dei suoi quindici anni, e nelle cuffie la musica. Un attimo dopo c'era solo il dolore incomprensibile, lo schianto delle ossa rotte, il buio. Stazione ferroviaria di Caslino al Piano, provincia di Como. Un sentiero scorre parallelo ai binari. Qui domenica pomeriggio il sogno di Isaac Akuetteh, punta degli Allievi del Milan prestato al Varese Calcio, è diventato incubo. Il treno che gli è piombato addosso non l'ha ucciso. Probabilmente, dicono i bollettini, si salverà. Ma niente più sarà come prima. Anni e cure serviranno per rimetterlo in condizione di camminare, correre, vivere normalmente. Il calcio, il grande calcio, per adesso dovrà fare a meno di lui. E lui dovrà fare a meno del grande calcio.

C'è voluta una manciata di ore, perché il dramma di Isaac diventasse notizia. Fino a domenica sera, era una storia da cronaca locale. Incidente ferroviario, un ragazzo investito da un treno. Poi, ieri, il comunicato del Milan che annuncia: è uno di noi. E, nel meccanismo consueto e inevitabile dei media, l'incidente diventa una storia che ribolle di simboli e di domande. C'è il ragazzo di colore, un nuovo italiano. C'è il calcio, il riscatto, la scorciatoia sociale. C'è la musica, le cuffie a tutto volume che sparano l'unico suono percepibile, quello che tiene a distanza la noia della domenica pomeriggio ma anche il rumore del treno che arriva.

Bastava poco, come al solito, perché questo non succedesse. Bastava, per esempio, che la notte tra sabato e domenica Isaac dormisse bene. Invece era stato sveglio a lungo, forse una mezza influenza. La mattina dopo doveva giocare negli Allievi del Varese, dove da due settimane il Milan l'ha mandato a farsi le ossa: e se avesse giocato, il pomeriggio lo avrebbe passato magari steso in branda a riposarsi, lui, le sue cuffie finalmente innocue. Invece si è svegliato concio. Ha chiamato l'allenatore, Paolo Volontè: «Mister, mi dispiace, non ce la faccio». Dopo pranzo si è sentito meglio, e le energie incontenibili dei suoi quindici anni lo hanno spinto fuori, a inforcare la bici. Alle 15,41 il suo destino ha incrociato il treno 154 di Trenord, partito alle 15,17 da Como e diretto a Milano.

Com'è, Isaac? Risponde mister Volontè: «Punta centrale, buon giocatore, grande potenza fisica ma anche piedi buoni. Tutti e due. Un ragazzo introverso e buono. Da noi si è fatto volere bene subito». Dal Milan snocciolano il suo curriculum: individuato e arruolato in una squadretta da oratorio, al primo campionato nei Govanissimi fa 27 gol, uno spettacolo. L'anno dopo, si ferma a 9 reti, e gli tocca capire in fretta la regola dura del gioco: al Milan prendono un'altra punta, e lo spediscono a Varese. Ma continuano a credere in lui, a considerarlo uno su cui puntare. L'esilio momentaneo serve anche a evitare che si perda per strada. Un fisico come il suo non lo si lascia sfuggire facilmente. «Un fisico alla Weah», dicono al Milan.

Questo in campo. Fuori, una storia che era scivolata via come tante altre, fino al giorno miracoloso in cui l'osservatore del Milan gli mise gli occhi addosso sul campo della parrocchia. L'arrivo in Italia dal Ghana, la famiglia regolare e sgobbona. Le scuole, fatte con serietà; il pallone che è il gioco di Isaac come di tutti gli altri ragazzini della sua età, un passatempo e nulla più. Un po' per volta però le cose cambiano. Il ragazzino cresce e diventa uomo anzitempo. Spesso, quando a quell'età si trovano a veleggiare verso il metro e ottanta, sono sgraziati, dinoccolati, come se il cervello faticasse a governare quegli arti troppo lunghi. Invece Isaac è grazia, potenza, coordinazione allo stato puro. In casa si rendono conto che forse il pallone non sarà più solo un gioco. Ogni giorno, finito il lavoro, papà accompagna Isaac allo stadio di Varese, da cui parte il pullmino per il campo da allenamento.

Nell'altro scenario possibile, quello dove domenica Isaac si alzava di buon umore, andava a giocare, e passava il pomeriggio sul letto a fantasticare, chissà se c'era un futuro in serie A.

In questo scenario ci sono invece le cuffie che sparano musica, il sole che brilla alto, e il treno 154 che arriva.

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