Cronache

Quell'affanno da benessere

T ante medicine significa che non stiamo bene. Non scherziamo, stiamo fin troppo bene. La nostra malattia moderna significa incapacità di comprendere ciò che conta nella vita. Contano i soldi? La carriera? La visibilità? Il successo? Sono cose importanti, ma in modo eccessivo, al punto da oscurarci il senso della vita. La depressione è cosa molto seria: l'ho vista patire da mia madre che era una semplice maestra, senza ansie di carriera e di soldi. I soldi ci mancavano, ma quell'assenza portava all'attenzione per il risparmio, non alla depressione. Non stiamo bene perché non riconosciamo il limite, supponiamo che il suo oltrepassamento, in una gara con noi stessi e gli altri sia la vera sfida per l'affermazione di noi stessi. Dunque, siamo in grado di rovesciare questa situazione e rivedere il modello di vita che oggi s'impone? No. Oggi la vita è questa, se non l'affrontiamo in questi termini siamo degli sfigati. Drammaticamente, i più consapevoli di questa realtà sono i giovani.

Vorrei raccontare a mio figlio quindicenne che la vita è altra cosa. C'ho provato: mi risponde che, con tutta la mia bella filosofia, gli suggerisco un'esistenza da sfigato. Giustissimo avere ambizioni, ma la questione è come realizzarle. Ci sarebbe un primo rimedio che farebbe diminuire gli antidepressivi: la correttezza della gara. Una gara è corretta per l'affermazione di se stessi, se valesse il merito. Ho visto molti giovani da me laureati castrati dall'assenza di una decente valutazione del merito. I più forti reagiscono con intelligenza, i più fragili non ce la fanno ad accettare l'ingiustizia: qualche pastiglietta li aiuta a tirare avanti.

Dopo la formazione scolastica «superiore», il giovane deve gareggiare con nuovi avversari. La competizione diventa durissima, perché il farsi valere significa anche fare quattrini. Il prezzo da pagare per chi perde questa gara è altissimo nei confronti di se stessi, della moglie, dei figli. Come è possibile tirare avanti senza un aiuto farmacologico? Mi accorgo di aver disegnato un quadro dell'esistenza moderna a tinte fosche. Ma non è proprio così. Proviamo ad accettare il più serenamente possibile il fatto che la vita è questa.

Se non si hanno ambizione si è degli sfigati; se non si riesce a realizzare un minimo delle proprie ambizioni si è, ancora, degli sfigati; se non si vuole essere degli sfigati si prendano i farmaci necessari. È la vita che auguro a mio figlio? Neanche per sogno. In una vita così, la testa e la pancia non possono che star male. Ma, davvero, non c'è nessun rimedio che non siano le pillole? Il professore di filosofia (che sono io) suggerisce: un passo alla volta e consideriamoci felici se non siamo inciampati.

Per il prossimo passo, abbiamo tempo.

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