Politica

Quell'amaro sfogo attribuito al premier: riforma schifosa ma...

Renzi confessava di non credere troppo alla revisione della Carta ma di usarla con la Ue

Quell'amaro sfogo attribuito al premier: riforma schifosa ma...

Più la vicenda politica di Matteo Renzi volge verso la fine e più ricorda l'apprendista stregone della ballata di Goethe. Quella che prima era solo una sensazione si dimostra, giorno dopo giorno, una drammatica realtà: il premier ha messo in moto un meccanismo infernale che non governa per nulla e di cui, a questo punto, ignora e teme l'epilogo. Un po' come l'apprendista che dà vita alla scopa per evitare lui stesso di fare le pulizie ordinategli dallo stregone, il premier, a cui lo stregone-Napolitano ordinò di fare le riforme, invece di tentare di individuare con pazienza una proposta di modifiche alla Costituzione e una legge elettorale condivisi anche dalle altre forze politiche (costava troppa fatica), ha scelto la scorciatoia delle alchimie politiche: ha imposto le sue proposte alla Camera, grazie ai numeri che gli ha garantito un premio di maggioranza che la Consulta aveva giudicato già due anni fa incostituzionale; mentre al Senato si è assicurato il consenso attirando gruppi di parlamentari eletti in altri partiti, usando l'arma del potere e delle poltrone. Risultato: ha approvato una riforma che ha una maggioranza nel Palazzo, ma che è detestata da tre quarti del Paese. Assumendosi la responsabilità (grave) di aver ulteriormente allargato la distanza, già grande, che divide le istituzioni dal popolo: la vittoria del M5S alle ultime elezioni è il frutto dell'imperizia dell'apprendista stregone.

Ma i danni possono essere ancora più gravi. Chi ricorda il celeberrimo cartone animato di Walt Disney Fantasia che descrive un esercito di scope che riversano secchi d'acqua sul pavimento mentre l'apprendista stregone cerca in tutti i modi, e invano, di fermarle, può farsi un'idea di quello che sta accadendo in questi giorni a Palazzo Chigi: il premier sta studiando, inventando, escogitando mille modi per fermare la macchina che ha messo in moto lui stesso quando annunciò, baldanzoso, che di fronte a una sconfitta sul referendum non avrebbe potuto non dimettersi. Un armamentario di trucchi procedurali, temporali e minacce da far impallidire anche gli espedienti usati dall'apprendista stregone originale per fermare la maledetta scopa: rinvio del referendum di uno o due mesi; moltiplicazione dei quesiti referendari; scenari apocalittici sul piano internazionale e interno. Addirittura Renzi è arrivato a cambiare le carte in tavola sfoderando una grossolana minaccia: se in un primo tempo in caso di vittoria del fronte del No aveva promesso che avrebbe fatto le valigie, ora ha precisato che i bagagli deve farli l'intero Parlamento. Un ricatto che può avere un qualche seguito nel Palazzo, conoscendo gli incubi dei suoi abitanti, ma che non suscita nessuna paura in quel Paese che sarà chiamato a decidere. Anzi, se solo l'opinione pubblica italiana prendesse coscienza che il No al referendum potrebbe essere lo strumento per mandare a casa questo governo, la sua maggioranza, e magari pure l'opposizione, ebbene, si può star sicuri che ci sarebbe una corsa alle urne collettiva. Anche in questo caso il giovane apprendista ha peccato di ingenuità e ha dimostrato di avere una buona dose di cinismo.

Quel cinismo in cui sfocia un operare condizionato solo dal calcolo politico e da una sconfinata ambizione. Il nostro giovane apprendista stregone, purtroppo, non ne è immune. Come quello di Goethe. In questi due anni di governo il premier ha corteggiato incessantemente dei parlamentari dell'opposizione, proponendo sottosegretariati o altre cariche di governo, allo scopo di dar vita e senso alla sua fissazione: il partito della Nazione. Uno di loro ha raccontato un aneddoto alquanto rivelatore dello spirito costituente che ha animato il governo in questi due anni. Nell'autunno dello scorso anno, qualche giorno prima della presentazione della legge di Stabilità, in uno delle udienze periodiche a Palazzo Chigi, il «corteggiato» che alla politica è arrivato quasi per caso chiese a Renzi perché si fosse incaponito su una riforma della Costituzione alquanto discutibile. E il premier si lasciò andare a questo ragionamento: «Vuoi che non sappia che questa riforma fa schifo?! Ma mi serve per avere credito in Europa; per strappare flessibilità di bilancio a Bruxelles; per avere, quindi, dei soldi da spendere in Italia». Il suo interlocutore gli diede una risposta di buonsenso: «Ma non è una legge qualsiasi: è la Costituzione!». Beccandosi un'espressione gestuale che, tradotta in parole, suonava come un «Sì, vabbè».

Appunto, se lo spirito Costituente è quello del «Sì, vabbè», sarebbe il caso di non aggiungere danno a danno. Sono stati gli artifici politico-istituzionali di questi anni (governo Monti in primis) ad aver alimentato quel desiderio anti-sistema che anima buona parte dell'opinione pubblica italiana. Perseverare su questa strada sarebbe diabolico. Per cui si svolga questo referendum al più presto, non fosse altro per preservare il Paese da questo clima di incertezza. A quel punto saranno i cittadini a decidere se è il caso di andare dietro all'apprendista stregone; o se è arrivato il momento di togliergli la scopa.

Come avviene in ogni democrazia.

Commenti