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Il Quirinale preoccupato per l'"azzardo" E Gentiloni preferisce girare il mondo

La forzatura sulla legge elettorale apre prospettive imprevedibili

Il Quirinale preoccupato per l'"azzardo" E Gentiloni preferisce girare il mondo

Roberto Scafuri

Roma È davvero un azzardo, quello tentato da Matteo Renzi sulla legge elettorale. Tanto per la sostanza del Mattarellum corretto, quanto per la forma adottata per portarla a casa prima dell'estate: una forzatura sui tempi per averla in aula alla Camera due giorni dopo il G7 di Taormina, il 29 maggio. E se il sistema proposto viene giudicato un enorme «pasticcio» da metà Parlamento (non solo da Bersani e da Prodi), è evidente come il Quirinale segua con particolare apprensione quanto accade tra Montecitorio e Palazzo Madama, dove proprio ieri la nascita del gruppo di Quagliariello dovrebbe mettere a tacere le voci di «campagna acquisti» renziana per avere i cinque-sei voti necessari.

Eppure uno scontro così aspro proprio sulla legge elettorale, con l'eventualità di una fiducia al Senato per superare la condizione (al momento) di parità o minoranza di Pd, Lega e alleati minori, sarebbe uno «strappo» davvero poco auspicabile. Il paradosso è che se l'azzardo riuscisse, si potrebbe andare al voto in autunno ma con lacerazioni così stridenti da mettere in dubbio persino la legittimazione del vincitore. Se non riesce, l'autunno comunque si trasformerebbe in via crucis per il governo, costretto a sobbarcarsi pure il compito di armonizzare in extremis i due sistemi vigenti dopo le sentenze della Consulta. In entrambi i casi, significherebbe assaltare a suon di granate «amiche» un Palazzo Chigi già ridotto all'impotenza.

Il Colle è preoccupato, Gentiloni pure. Non sarà sfuggito agli osservatori più attenti come nell'ultimo mese e mezzo la sua agenda internazionale sia andata infittendosi, al punto da somigliare più a quella di un ministro degli Esteri. È vero che in Italia ci sono solo grane (giudiziarie, economiche, sindacali), e una «cabina di regia» che «assorbe-problemi», ma da aprile in poi il premier è volato alla Casa Bianca da Trump, in Canada da Trudeau, in Cina da Xi Jinping, in Russia da Putin. Dopo o prima di Bruxelles e Taormina (25-26-27), è plausibile che ci sia il tempo per una scappata a Parigi da Macron. Se c'è qualche altro potente o meno potente della Terra che abbia voglia d'Italia, sappia che è il momento buono.

Non per chi resta, però. Il Rosatellum o Verdinellum che sia sta sfrangiando ancor più il tenue tessuto del dialogo. A sinistra, come denuncia Bersani, perché la «furbata» renziana prevede una sola scheda, per cui se voti un partito al proporzionale il voto va automaticamente al candidato collegato a quella lista pure nel maggioritario (viceversa no). Per cui, impossibili desistenza e voti «disgiunto», gli alleati «minori» vengono polverizzati in amici di supporto con diritto (magari) di tribuna: ascari, insomma. Anche a destra il sistema tenta di dettar legge: scardina Forza Italia, concede alla Lega i suoi collegi del Nord. Come si possa pensare di imporla al 50% (o 49, 48, 40 poco importa) del Parlamento è mistero spiegabile solo in un modo: vittimismo. Propaganda da spendere in campagna elettorale.

Quando sarà.

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