Cronache

La rabbia anti rom non si calma a parole

Due recenti episodi ripropongono il non risolto e sempre turbolento problema della convivenza con i nomadi ormai stabilmente stanziali dalle nostre parti

La rabbia anti rom non si calma a parole

Due recenti episodi ripropongono il non risolto e sempre turbolento problema della convivenza con i nomadi ormai stabilmente stanziali dalle nostre parti. I Rom, come vuole la correttezza politica, ma che seguiterò a chiamare zingari, parola antica e nobile – bastino, a fugar dubbi, le derivazioni romantiche di tzigano o gitano - che non vedo come possa offendere.

Qualche giorno fa, a seguito delle proteste di utenti esasperati per i frequenti episodi di inciviltà e microcriminalità che si verificavano sugli autobus della linea 69 –detti popolarmente i «bus dei rom» perché conducono da Torino verso Bòrgaro, sede stabile di campi nomadi – il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza ha ripristinato, su quei mezzi pubblici, la figura del bigliettaio e disposto l'installazione di telecamere di controllo, la presenza a bordo di vigili e delle forze dell'ordine alle fermate (e questo per impedire l'imbarco di passeggeri che non usano, per loro cultura, comprare il biglietto).

Ieri, una quarantina di mamme di Monserrato, in quel di Cagliari, hanno manifestato contro l'iniziativa del sindaco il quale, nel quadro del Percorso per l'inserimento sociale, ha chiesto e ottenuto che nella locale scuola elementare due zingare del vicino campo nomadi vi lavorassero in qualità di bidelle. La maggioranza delle mamme non ha indicato le ragioni del rifiuto: non le vogliono e basta. Una parte di loro, «riproponendo i peggiori stereotipi razzisti», come ha voluto precisare il sindaco, è stata invece categorica: «Perché sono sporche, puzzano, fanno paura ai bambini e si vestono in modo strano con quelle gonne lunghe...».

Seppur costosa -– bigliettai, telecamere, agenti in servizio: altri soldi, altre tasse -– la risoluzione presa a Torino è coerente con i principi (non demagogici) dell'integrazione. Gli zingari avranno la loro bella cultura, come sempre ci ricorda Laura Boldrini, Ma se è in contrasto con le nostre regole del vivere civile e le norme che vietano il borseggio e l'uso dei mezzi pubblici a sbafo, sono gli acculturati a doversi adattare. Con le buone o, semmai servisse, con le cattive. Difficile, al contrario, ammettere che l'iniziativa presa a Monserrato risponda ai criteri della integrazione che non sia quella demagogica e a senso unico.

Che «inserimento sociale» può esserci in una scuola e per di più riservata ai piccoli ostentando la propria diversità/estraneità non foss'altro, ma c'è dell'altro, che nel folklore dell'abbigliamento? C'è certo della xenofobia – non si parli di razzismo, per favore – nello stereotipo popolare dello zingaro, che è quel che sappiamo: ma tocca a loro, se davvero intendono integrarsi, il duro lavoro – culturale, questo sì - di contraddirlo.

Coi fatti, ovviamente: a parole son bravi tutti.

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