Politica

"Ma la raccolta dati è prassi comune. Se non paghi, il prodotto sei tu"

L'esperto di comunicazione digitale Marco Camisani Calzolari: "Facebook aggrega le informazioni su di noi e le usa per il business. Tutto legale"

"Ma la raccolta dati è prassi comune. Se non paghi, il prodotto sei tu"

Le scuse di Zuckerberg? «Una sua abitudine e anche una strategia tipica per fronteggiare le crisi aziendali». Ma per Marco Casimani Calzolari, docente di Business digital communication all'Università di Pavia, chiamato dalla Commissione Ue per una consulenza sulle fake news, «il fondatore di Facebook si scusa non perché abbia colpe ma perché per lui è la strada giusta».

Lo scandalo per il quale risponde al Congresso?

«Un problema di comunicazione. Perché quello che Fb mette a disposizione delle aziende, la possibilità di profilare gli utenti e arrivare a loro pagando, è cosa nota e utilizzata da milioni di aziende e persone in tutto il mondo. Fb è stata sempre molto chiara sull'uso dei dati in forma aggregata».

Ma li ha ceduti a chi ne ha fatto un uso improprio.

«Chiariamo: è stato il ricercatore Alexander Kogan, della Cambridge Analytica che ha ceduto a terzi i dati raccolti tramite un test. Un'opzione che non è prevista dalla policy di Fb. Accusata, invece, di aver infranto la legge Usa per non aver comunicato al pubblico che il ricercatore, nel 2014, ha raccolto e ceduto illegalmente quei dati. Ma la raccolta dati è un'attività che accade migliaia di volte al giorno e il fatto che terzi li usino in modo inappropriato è cosa comune».

Quindi siamo tutti spiati?

«No, siamo noi stessi che vendiamo i nostri dati con grande leggerezza. Dobbiamo sapere che la nostra vita digitale è scritta su un server da qualche parte, da Whatsapp a Google».

Qualche azienda, come Apple, si vanta di tutelare quella privacy.

«Apple è brava a comunicare e sta facendo di questo un punto di forza. Ma non è paragonabile a Fb il cui modello di business è basato sullo scambio dati. Quando compri un prodotto Apple lo paghi, quando non paghi, invece, il prodotto sei tu».

E Facebook sui suoi utenti ha fatto 40 miliardi di incassi pubblicitari nel 2017.

«Il meccanismo però è completamente legale. Nella sezione Facebook Advertising entri, dici cosa vuoi promuovere, quanti soldi vuoi metterci, per quanto tempo e qual è il target di persone che vuoi raggiungere. Più soldi metti, più utenti raggiungi. Fb utilizza e aggrega i tuoi dati - età, gusti, like - senza comunicarli a chi si rivolge al proprio servizio a pagamento. Se vuoi promuovere un messaggio pro-immigrazione, Fb raggiungerà più persone possibili sensibili a quel tema. E recapiterà il messaggio, vero o falso».

Eccoci alla questione delle fake news. E all'influenza sulle elezioni.

«Il problema non è che un politico o un partito cerchino di raggiungermi e convincermi pagando. Dai manifesti alle cene elettorali è sempre stato così. La differenza oggi è la capacità di micro-targettizzare, cioè di sapere chi sei, come la pensi, cosa ti piace. E di inviarti messaggi e promesse elettorali one-to-one, in modo che certi post che dicono certe cose arrivino solo a te e a pochi altri, riducendo anche la possibilità di controllo sulla veridicità di messaggi o news».

Come ci si difende da questi meccanismi?

«Oltre alle strategie tecniche (evitare di fornire localizzazione, disattivare eventuali app), a Bruxelles ho riferito della necessità di un organismo sovranazionale, che indichi principi per stabilire cosa è falso e cosa no, e poi si affidi a un'intelligenza artificiale per marchiare i contenuti con un bollino, una sorta di controllo qualità.

Per il resto, la soluzione si chiama cultura, il miglior antidoto alla propaganda e ai pregiudizi».

Commenti