Strage di Las Vegas

"Le raffiche come fuochi d'artificio"

Paura nei resoconti di chi si è salvato. Tra loro un giovane italiano

"Le raffiche come fuochi d'artificio"

«Mi sono trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Di questi tempi bisogna essere un po' fatalisti, ma ho la fortuna di poterlo raccontare». La storia di Riccardo Ricci, 30 anni, manager residente a Vercelli, parte dal ristorante del Caesars Palace, non distante da dove Stephen Paddock ha iniziato a sparare. «Stavo cenando con alcuni colleghi quando il cameriere ci ha riferito che stava accadendo qualcosa di grave al Mandalay Bay e che c'era una sparatoria in corso». A quel punto sono partiti gli spari, e all'esterno si vedevano «centinaia di persone prese dal panico che correvano e urlavano. Sembrava una situazione surreale».

Pochi istanti dopo è intervenuta la security del ristorante, scortando Ricci e gli altri commensali fuori dal locale, passando dalle cucine. «Abbiamo vissuto momenti difficili, anche perché capisci che sta succedendo qualcosa di grave, ma non sai né come andrà a finire e neppure come comportarsi». Sono stati gli stessi uomini della sicurezza, assieme ad alcuni poliziotti, ad accompagnare il vercellese nei pressi del suo albergo. «C'era il timore di altri attacchi, giravano voci incontrollate di nuovi attentati a Las Vegas - aggiunge - gli alberghi dovevano essere ancora bonificati, e le forze di polizia non sapevano se farci entrare oppure se evacuare gli hotel. Solo dopo un'ispezione di un'ora e mezzo le forze speciali ci hanno consentito di raggiungere le camere».

Il nostro connazionale l'orrore l'ha percepito, ma al Route 91 Harvest Festival, il Bataclan a stelle e strisce, arrivano le testimonianze di chi, per mettersi in salvo, ha dovuto persino calpestare i morti. «Ho dovuto farmi largo strisciando tra i cadaveri», racconta Cari Copeland Pearson, una delle spettatrici del concerto. «Pensavo fossero fuochi d'artificio, poi tutti hanno incominciato a correre. È stato terrificante», ricorda la tennista britannica Laura Robson. Da film horror il racconto di Fredrick Lauren, medico inglese in vacanza, che parla di «teste che esplodevano come zucche. Senza contare tutti i feriti che fuggivano con i vestiti a brandelli e inzuppati di sangue. Ho cercato di rendermi utile come potevo». Kevin Kropf ha trovato rifugio sotto un tavolo: «Non volevo alzarmi per non essere confuso con chi sparava ed essere colpito. Ho visto persone coperte con lenzuoli e una ragazza morta trascinata su un furgone». Per Desiree Price, originaria di San Diego, «l'assassino giocava al gatto col topo. Approfittando delle luci mirava e uccideva. Ma noi non riuscivamo a vederlo». Jackie Hoffing pensava che la sua vita fosse ai titoli di coda. È riuscita a chiudersi in uno dei bagni del locale, e si è salvata. «Ho scritto ai miei figli che li amo pensando di essere sul punto di morire. Sono stati minuti interminabili, tra spari e urla.

Piangevo, poi è arrivata la polizia a liberarmi».

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