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Rafforza i trafficanti e ci mette in pericolo: ecco perché il progetto è un buco nell'acqua

I disperati sono un tesoro anche per il governo. Ma un'alternativa ci sarebbe

Rafforza i trafficanti e ci mette in pericolo: ecco perché il progetto è un buco nell'acqua

Sulla carta è perfetto. Nei fatti il nuovo piano europeo studiato per bloccare i barconi estendendo la missione navale Sofia (Eunavfor Med) dentro le acque territoriali libiche fa acqua da tutte le parti. Il primo problema è l'irrilevanza d'un premier Fayez Al Serraj che, non a caso, s'è sempre guardato dall'autorizzare la violazione delle proprie acque territoriali. Firmando quell'autorizzazione, indispensabile dal punto di vista del diritto internazionale, Serraj rischia di diventare la prima vittima del nuovo piano. Le premesse già ci sono. L'attacco a quattro palazzi ministeriali del 12 gennaio guidato dall'ex premier islamista Khalifa Ghwell era stato preceduto non solo dalla riapertura della nostra ambasciata, ma anche dalla minaccia di Al Serraj di sostenere l'intervento europeo. Un intervento che - come spiega un rapporto dell'ammiraglio italiano Enrico Credendino, comandante di Eunavfor Med mette a rischio il giro d'affari, pari a circa trecento milioni di euro annui, garantito dal traffico d'uomini. Un giro d'affari diventato l'unica fonte di contanti non solo per criminali e miliziani, ma anche per l'esecutivo Serraj. Per aggirare il rischio di una defenestrazione del premier il piano europeo prevede, in alternativa, di delegare il blocco dei porti libici ad una Guardia Costiera addestrata e armata a nostre spese. La medicina rischia però di rivelarsi peggiore del malanno. Il 13 agosto scorso una nave soccorso di Medici senza Frontiere è stata attaccata proprio da quella Guardia Costiera libica addestrata da noi europei. Mezzi e strutture fornite al governo Serraj rischiano dunque di venir utilizzati non per bloccare i trafficanti di uomini, ma per rafforzarli. E se anche Serraj riuscisse a sopravvivere all'arrivo di «Sofia» e la sua Guardia Costiera non finisse nelle mani di miliziani e trafficanti c'è da chiedersi chi garantirebbe l'incolumità dei migranti riportati sulle coste libiche e affidati, come prevede il piano Ue, a personale disarmato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite. Con tutta probabilità quei disgraziati si trasformerebbero in ostaggi utilizzati per garantire la partenza dei barconi riempiti con nuovi clienti paganti. Ed Italia ed Europa si ritroverebbero nell'imbarazzante alternativa di intervenire militarmente o restar a guardare. L'unica soluzione per evitare questi «inconvenienti» è risolvere il peccato originale ed affiancare all'inadeguato Serraj, appoggiato a suo tempo dall'amministrazione Obama e dal governo Renzi, un leader degno di questo nome. L'unico percorso per garantirlo passa attraverso un negoziato con Russia ed Egitto che garantisca l'arrivo a Tripoli, del generale Khalifa Haftar ed un'indolore «spartizione» del potere. Il generale non sarà un campione della democrazia, ma resta l'unico uomo forte disponibile sul travagliato scenario libico. L'unico in grado di contrapporsi all'instabilità in cui sguazzano trafficanti di uomini, miliziani e jihadisti. L'unico al comando di una forza armata capace di garantire, con l'appoggio di Mosca e degli alleati regionali, un minimo di sovranità territoriale.

L'unico in grado di salvarci da quel «caos Libia» che rischia di trasmetterci il contagio terrorista e risucchiarci nei gorghi della sua stessa instabilità.

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