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La Raggi prova a resistere ma Grillo la scarica subito

Dopo le diserzioni, il sindaco rilancia: diamo fastidio ai poteri forti. Il leader M5S, però, annulla l'incontro

La Raggi prova a resistere ma Grillo la scarica subito

Virginia Raggi si dibatte nella crisi di cui è stata artefice e Beppe Grillo decide di non calare a Roma per darle copertura politica e sostegno.

Il leader pentastellato era atteso lunedì e martedì per incontrare il direttorio e la sindaca azzoppata dalle dimissioni del capo di gabinetto Carla Raineri, del superassessore Marcello Minenna, delll'amministratore unico di Atac Armando Brandolese, del direttore generale Marco Rettighieri e dell'amministratore di Ama Alessandro Solidoro. Ma prende tempo. Vuole lasciare alla Raggi il tempo di risolvere i suoi guai e non farla apparire una marionetta del vertice M5S? O prendere le distanze da un possibile disastro che segnerebbe l'ambizione grillina di governare il Paese?

Dopo aver toccato il fondo giovedì, con cinque alti collaboratori in fuga, la Raggi cerca di riguadagnare credibilità: «Lavoriamo per il bene della città, queste dimissioni non ci spaventano. Diamo fastidio ai poteri forti ma siamo uniti e determinati. Stiamo valutando personalità di alta caratura in modo che possano far parte della squadra». Poi annuncia due mosse: Manuel Fantasia, ingegnere nucleare ed esperto di trasporti con esperienza internazionale, sostituirà all'Atac Brandolese e saranno riviste tutte le nomine, già sottoposte all'esame dell'Anac, dello staff e della giunta e abbassati gli stipendi. I consiglieri grillini, in agitazione, chiedono un tetto di 76 mila euro, niente auto blu e soprattutto il rispetto dei «valori» del M5S.

Solo che rivedere tre mesi di delibere è come riconoscere i propri errori e facendo fuori i «tecnici» che dovevano garantirle la tanto sbandierata operazione legalità e trasparenza la Raggi rischia di apparire succube di vecchie logiche, dei residui degli apparati di una volta. Quelli che alcuni identificano nel «raggio magico»: il vicesindaco Daniele Frongia, il vicecapo di gabinetto ex alemanniano Raffaele Marra, il capo della segreteria Salvatore Romeo. Loro avrebbero spinto la sindaca ad un tentativo di alzare la testa e agire in autonomia, senza consultarsi con il minidirettorio romano o quello nazionale milanese.

Di qui il gelo con Grillo, la furia di Carla Ruocco, sponsor dell'ex Consob Minenna e della romana Paola Taverna. Solo Luigi Di Maio difende la Raggi, con l'argomento della difficile lotta contro le lobby.

Anche la sindaca parla di «poteri forti», ma chi intende? La magistrata Ranieri, alfiere dell'anticorruzione, che dice di essersi dimessa «prima della la revoca» della sua nomina per il parere negativo dell'Anac? L'assessore Minenna, con deleghe al Bilancio e alle società partecipate, che preparava un piano per far pulizia da affidare ad amministratori unici, abolendo i Cda? Il manager Rettighieri, che con Brandolese afferma di aver subito all'Atac ingerenze dall'assessore alla Mobilità Linda Meleo e dice di aver «colpito zone intoccabili»? O Solidoro, nominato un mese fa all'Ama per sostituire Fortini (anche lui andatosene lanciando pesanti accuse)? Certo, il «raggio magico» che giovedì sembrava vincente, ora è a rischio: si parla di «sacrificare» Marra e di tagliare il compenso a Romeo perché, dice lui stesso, «c'era un errore nella delibera».

La verità è che dove stiano i «puri» in questa guerra proprio non è chiaro, né da che parte stia Grillo, di fronte alle faide interne nel movimento.

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