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Rai, il Pd ha già rinnegato Campo Dall'Orto

Il dg scaricato dai dem: "È il nuovo Marino". Scoppia il caso California

Rai, il Pd ha già rinnegato Campo Dall'Orto

«Campo Dall'Orto? Rischia di diventare il nuovo Ignazio Marino del Pd». A meno di un anno dall'insediamento del direttore generale Rai, nel Partito democratico e nel governo serpeggiano dubbi, preoccupazioni, ansie. «Il primo anno lo ha già buttato, gli altri due che gli restano rischiano di essere anche peggio - commenta Michele Anzaldi, numero uno del Pd in Vigilanza Rai - Gli ascolti sono calati, il Tg3 è crollato, l'unica cosa di cui si sta occupando Campo Dall'Orto è tagliare l'informazione Rai. La sera del voto sa che programma è previsto in Rai? Gazebo». Che un renziano doc come Anzaldi citi la scadenza del mandato del dg (renziano) Dall'Orto, nominato nove mesi fa, è una spia indicativa. La nuova legge assegna al dg Rai i poteri di un amministratore delegato, ma ne accorcia la durata a tre anni (dunque al 2018 per Campo Dall'Orto). Sempre che, visto il basso gradimento che registra tra i suoi grandi elettori renziani, l'avventura di Cdo a Viale Mazzini non possa finire anche prima, come sembra suggerire Luigi Bisignani sul Tempo. In commissione di Vigilanza Rai, chi ha demolito nel modo più duro il nuovo piano della Rai non è stato un grillino o un parlamentare dell'opposizione, ma il sottosegretario alla Comunicazioni Antonello Giacomelli, l'uomo del governo che cura il dossier Rai. «Serve una trasformazione profonda, non cosmetica dell'azienda» bacchetta il sottosegretario, che non vede un «vero piano industriale, ma solo un'indicazione di obiettivi». Detto in termini meno istituzionali: fuffa. Altra spia d'allarme. L'apertura di un fascicolo sulle assunzioni esterne all'Anticorruzione. Un'iniziativa presa personalmente da Raffaele Cantone (anche lui uomo di fiducia di Renzi) e che, fa notare chi lo ha sentito, non era affatto un atto dovuto, ma una decisione assunta dopo aver analizzato le carte. E si rischiano sanzioni dall'Anac, per questo nei vertici Rai c'è il terrore.

Poi si aggiungono le figuracce, non poche negli ultimi mesi (dalla bestemmia a Capodanno in poi), il ruolo fumoso di nuove figure apicali (che sta facendo Verdelli, capo unico dell'Informazione Rai?), gli episodi poco compatibli con l'idea di una «nuova tv pubblica». Come i 14 dirigenti spediti in California per una convention televisiva, dove però Sky e Mediaset mandano 4 e 3 dirigenti, non una dozzina. Mentre si fanno fuori i giornalisti non allineati, e si trattano gli incentivi (a colpi di mezzo milione di euro) per i manager fatti fuori, compreso l'(ex?) renziano Luigi De Siervo, uscito «consensualmente» dalla Rai. Che il 2 giugno, per la Festa della Repubblica, non ha trovato di meglio che mandare in onda una replica (Benigni) di quattro anni fa.

Le grandi idee arriveranno, più avanti, forse.

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