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La Rai vìola la par condicio anche con il proprio Cda

La Rai vìola la par condicio anche con il proprio Cda

C he ci sto a fare? Me lo sono chiesto molte volte negli ultimi tempi: che senso ha restare consigliere d'amministrazione della Rai quando ti capita di essere interpellato solo a cose già fatte? E, per giunta, lavori pure a titolo gratuito, in quanto pensionato, per una cervellotica disposizione della legge Madia che non tiene conto del fatto che sono stato eletto dal Parlamento. Oggi, però, mi ha preso una sorta di scoramento, perché, nelle ultime 48 ore, sono successi due episodi piuttosto gravi che meritano qualche riflessione in più. Cominciamo dal primo. Lunedì scorso, sulle colonne di questo giornale, avevo denunciato l'«impar condicio» rilevata in alcuni programmi dell'azienda di Stato a favore del «Sì» nella campagna referendaria in vista del 4 dicembre. Assieme ad altri due consiglieri, Arturo Diaconale e Carlo Freccero, avevo quindi chiesto la convocazione di un cda prima della scadenza elettorale per verificare l'equilibrio dell'informazione pubblica. Ci è stato risposto che non c'era bisogno di alcun cda straordinario anche perché è compito dell'Agcom, in vista della consultazione, tenere tutto sotto controllo. Ma, a parte il fatto che, al di là del minutaggio, c'è modo e modo di far pendere la bilancia da una parte o dall'altra, dobbiamo tenere conto del bello della diretta che può sempre riservare qualche sorpresa. Ecco, così, che all'indomani del niet della Rai a tre consiglieri, alla Vita in diretta appare la ministra Boschi che sarà pure di bellissima presenza ma, di questi tempi, è davvero ingombrante, anche perché martedì sera l'avevamo vista a Politcs. Mi potreste obiettare che la trasmissione di Semprini è agonizzante (chiuderà i battenti a dicembre) e che, considerando il bassissimo share, è un programma per pochi intimi. Il rilievo è più che giusto, ma, intanto, la ministra resta ospite fissa del servizio pubblico in questi giorni caldi. L'Agcom, visto che è l'organo ad hoc, non ha nulla da ridire? Sempre troppo tardi, comunque.

Il problema delle «news» - ed è questo il secondo episodio che mi ha lasciato letteralmente di sasso - prescinde comunque dal periodo elettorale: la Rai sta fornendo o no la migliore informazione possibile? Di sicuro non la fornisce ai consiglieri che da tempo stanno chiedendo un confronto sull'argomento e sollecitano la visione e l'illustrazione del piano editoriale che dovrebbe essere varato all'inizio del nuovo anno. Ci è stato risposto di avere pazienza che presto avremmo sviscerato il grosso tema sul tappeto. Salvo vederci, poi, spiattellato, come se niente fosse, il progetto su un settimanale prima ancora di averlo letto e minimamente discusso. Certo, una strana fuga di notizie che conferma la considerazione di cui godono i consiglieri di amministrazione della corazzata pubblica. E ora penso anch'io che non ci sia più bisogno di alcun cda straordinario della Rai su «par condicio» e altro: è già tutto chiaro così. Leggevo ieri su Civiltà Cattolica che il termine «servizio pubblico radiotelevisivo» è stato coniato da John Reith, primo direttore generale della Bbc inglese, che sosteneva tre regole fondamentali: il servizio pubblico deve essere indipendente dal governo in carica, deve essere finanziato principalmente dai cittadini e deve avere come mission tre verbi: educare, informare, intrattenere.

Chissà cosa direbbe oggi.

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