Politica

Quel reato "perfetto" per indagare chiunque

A metà tra millantato credito e corruzione, è l'escamotage per confezionare avvisi di garanzia

Quel reato "perfetto" per indagare chiunque

È un reato che si appiccica come un'etichetta. Anche perché è talmente una nouvelle vague che si può applicare ovunque. E dunque, come afferma perfido Carlo Nordio, «può essere strumentalizzato dalla politica a proprio piacimento per chiedere il fatidico passo indietro all'indagato di turno». Il traffico di influenze illecite è l'ultimo arrivato sull'affollato palco del codice penale. Era nato per colpire i comportamenti opachi dei faccendieri, elfi del sottobosco politico e mine vaganti del lessico, in una delle tante aree grigie del nostro Paese, quella del lobbismo. Si è trasformato in un mostriciattolo all'italiana, ma sta guadagnando popolarità e ora l'inchiesta su Renzi senior sdogana definitivamente questo illecito.

«Il punto - spiega al Giornale Nordio, pm a Venezia per una lunga stagione e oggi in pensione - è che il reato è disegnato male». In bilico fra millantato credito e corruzione. Perfetto, nella sua genericità, per confezionare avvisi di garanzia. E coltivare l'illusione che l'universo mondo possa essere chiuso dentro l'occhiuto recinto del codice.

Ma i risultati dello sforzo, discutibile ma pur sempre in linea con le pressanti richieste rivolte ripetutamente dall'Europa all'Italia, sono paradossali. Perché assomigliano a un flop. Parla proprio di paradosso la Cassazione in una sentenza che fa scricchiolare questo impianto giuridico. Nel 2014 la Suprema corte si deve occupare di Marco Milanese, il consigliere politico del ministro dell'economia Giulio Tremonti, in carcere per aver ricevuto 500mila euro con l'obiettivo, nientemeno, di «influire sullo stanziamento di finanziamenti statali per i lavori del Mose» di Venezia.

Siamo appunto dalle parti del nuovo reato che punisce l'intermediario che spreme un privato per spingere un pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai suoi doveri d'ufficio. A metà strada fra il venditore di fumo e il corruttore che quei soldi li passa effettivamente, sotto forma di stecca, al funzionario in grado di manipolare un bando o un provvedimento.

Nel caso Milanese, dunque la cassazione interviene per provare l'ultima arma entrata nell'arsenale legislativo. Il test però fallisce. Milanese era stato ammanettato infatti per millantato credito e la cassazione corregge l'impostazione: «Si deve tener conto dell'entrata in vigore della legge numero 190 del 2012 che ha aggiunto la nuova fattispecie di reato denominato traffico di influenze illecite che fissa come presupposto della ricezione del denaro chiesto come prezzo della mediazione... lo sfruttamento delle relazioni con il pubblico ufficiale».

Insomma, il capo d'imputazione viene modificato in corsa: da millantato credito a traffico di influenze e l'indagato si ritrova libero. Sì, proprio così: «La nuova legge, comminando una pena inferiore» arriva al «risultato paradossale che una riforma presentata all'insegna del rafforzamento della repressione dei reati contro la pubblica amministrazione ha prodotto, almeno in questo caso, l'esito contrario». La misura cautelare non sta più in piedi.

«D'altra parte - aggiunge Romano Vaccarella, professore ed ex giudice della Corte costituzionale - si crea una sovrapposizione col millantato credito perché negli ultimi anni la giurisprudenza aveva allargato i confini di questo illecito: anche chi non bluffava ma aveva realmente rapporti con il pubblico ufficiale doveva rispondere di questo reato». Siamo alla duplicazione degli illeciti ma se i denari sono arrivati davvero al funzionario, allora il traffico di influenze si deve inchinare alla corruzione, reato ben più grave. Insomma, l'ultimo figlio del nostro ipertrofico legislatore deve sgomitare per non soffocare in culla.

Un pastrocchio. O, come sintetizza Vaccarella, «un reato ridicolo e inutile». «Una boiata pazzesca», lo definisce senza spagnolismi in un'intervista al Foglio Tullio Padovani, cattedratico pisano di diritto penale. Adatto ai titoloni da prima pagina, ma di casa poi nei sottoscala delle archiviazioni. Lo stesso percorso dell'inchiesta sull'ex fidanzato del ministro Guidi, Gianluca Gemelli. Lei si è dimessa, fra polemiche a non finire e scenari apocalittici.

Per lui si profila il solito finale piatto: tanto rumore per nulla.

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