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Il reddito di cittadinanza? No ai pensionati, sì ai "furbi"

Sussidio solo per 500mila assegni bassi su 3,4 milioni L'allarme di Unimpresa: "Incentiverà il lavoro nero"

Il reddito di cittadinanza? No ai pensionati, sì ai "furbi"

«Il reddito di cittadinanza è una menzogna colossale, i Cinque stelle se ne sono serviti per ottenere voti», ha detto ieri Silvio Berlusconi evidenziando come l'incertezza sulle coperture del sussidio di nullafacenza lo renda di fatto una «menzogna».

La norma che mira a introdurre l'assegno di disoccupazione universale contiene alcuni punti oscuri che vanno ben al di là delle incertezze sulla procedura legislativa che si seguirà (decreto o disegno di legge) e sul carattere strutturale della riforma stessa. Ad esempio, il vicepremier Luigi Di Maio ha spesso enfatizzato come il reddito di cittadinanza equivalga all'«abolizione della povertà» in quanto erogato tanto ai disoccupati quanto ai pensionati con redditi molto bassi in modo da aiutarli a raggiungere la fatidica quota di 180 euro. Eppure, secondo quanto fatto trapelare dall'economista Pasquale Tridico consulente del ministro del Lavoro, i 9 miliardi del reddito di cittadinanza saranno impiegato solo per il 10% per i pensionati, mentre un altro miliardo andrà alla riforma dei centri per l'impiego e tutto il resto (7,1 miliardi) ai giovani disoccupati. Solo 500mila pensionati sotto i 780 euro mensili su un totale di 3,4 milioni, quindi, potranno godere di questa integrazione del reddito per uscire dalla soglia di povertà relativa. Considerato che lo stesso superministro ha fatto intendere che lo stanziamento di 9 miliardi sarà una sorta di una tantum (non nella cifra ma nell'utilizzo effettivo) perché si attendono mirabolanti effetti dai posti di lavoro liberati dalla riforma pensionistica, per i pensionati in povertà è legittimo dunque dubitare. Anche perché il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, vorrebbe destinare da subito gli eventuali residui del reddito di cittadinanza e di quota 100 alla riduzione del deficit.

Un altro allarme è giunto, invece, da un sondaggio di Unimpresa tra le oltre 100mila aziende associate secondo cui il sussidio potrebbe far esplodere il lavoro nero. Chi ha un reddito mensile inferiore a 1.000 euro potrebbe infatti «accettare» di buon grado il licenziamento da parte del dato dei lavoro, percepire il reddito di cittadinanza (che assegna una «paga» mensile fino a 780 euro), continuare a lavorare con un salario in nero e più contenuto rispetto a quello regolare. I vantaggi ci sarebbero sia per i lavoratori, perché la somma di reddito di cittadinanza e salario in nero sarebbe superiore alla paga regolare sia per i datori di lavoro, perché risparmierebbero dal 30% al 60% sul costo del lavoro pur potendo avere comunque la stessa prestazione lavorativa. Commercio, turismo, agricoltura, servizi di manutenzione e di pulizia sono i settori nei quali si potrebbero registrare i maggiori casi di anomalia e distorsione. I lavoratori part time e con stipendio inferiore a 1.000 euro mensili quelli potenzialmente più interessati a valutare forme di aggiramento e violazione della misura.

Insomma, il reddito di cittadinanza andrebbe in netta controtendenza rispetto agli obiettivi perseguiti dal governo: non si creerebbe nuova occupazione, ci sarebbe un boom del lavoro nero e si registrerebbero casi di frode a danno della finanza pubblica. A pesare sul quadro finale, è anche la difficoltà di mettere in atto un piano di controlli a tappeto e sul territorio. Specialmente al Sud, potrebbero verificarsi i casi più numerosi di violazione.

«Per creare nuova occupazione bisogna tagliare il cuneo fiscale e i costi a carico delle aziende, ma ci rendiamo conto che si tratterebbe di interventi poco spendibili sul piano elettorale e non remunerativi in termini di voti», ha commentato preoccupata il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.

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