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Referendum, respinto il ricorso di Onida

Il tribunale di Milano salva il referendum costituzionale. Una volta tanto, non sarà la magistratura a fare da arbitro nello scontro politico. Il 4 dicembre andremo a votare

Referendum, respinto il ricorso di Onida

"Non ritiene il Tribunale di ravvisare una manifesta lesione del diritto alla libertà di voto degli elettori per difetto di omogeneità dell'oggetto referendario". Il tribunale di Milano salva il referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi: il 4 dicembre andremo a votare, e saranno gli elettori a decidere se la riforma voluta dal premier sia una modernizzazione indispensabile o un pateracchio autoritario e malscritto. Una volta tanto, non sarà la magistratura a fare da arbitro nello scontro politico.

Questa mattina il giudice Loretta Dorigo, della prima sezione civile del tribunale di Milano, ha depositato l'ordinanza che respinge entrambi i ricorsi presentati nelle scorse settimane, che puntavano a congelare la consultazione popolare investendo della questione la Corte Costituzionale. Secondo i ricorsi, uno dei quali firmato dall'ex presidente della Consulta, Valerio Onida, il quesito referendario è illogico ed illegittimo, perchè costringe gli elettori a esprimersi con un solo "si" o "no" su materie assai eterogenee, quali sono quelle contemplate nella riforma. I ricorrenti chiedevano pertanto al tribunale di sollevare questione di legittimità costituzionale della legge istitutiva del referendum, trasmettendo gli atti alla Corte. L'obiettivo di Onida era poi ottenere un provvedimento che sospendesse il referendum in attesa del pronunciamento della Consulta.

La giudice Dorigo ha impiegato diverse settimane a sciogliere il nodo, reso complesso da numerosi temi tecnici e procedurali. Questa mattina ha reso nota la sua decisione, già notificata sia ai ricorrenti che all'avvocatura dello Stato, che si era costituita nel processo a nome della Presidenza del Consiglio chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi. E così ha deciso la Dorigo. Una decisione analoga era stata presa il mese scorso dal Tar del Lazio, cui pure si erano rivolti i comitati per il "No", che aveva dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi sulla materia.

Se il tribunale milanese avesse ritenuto la questione di legittimità costituzionale "non manifestamente infondata", sarebbe stata poi la Consulta a dover sbrogliare la matassa, a partire dal tema più spinoso: poichè i tempi per una sentenza prima del 4 dicembre non ci sono, sospendere il referendum (con la macchina organizzativa già avviata) o lasciare svolgere la consultazione, salvo poi dichiarare la illegittimità? Non sarebbe stata una scelta semplice. Ma la ordinanza di oggi del tribunale milanese risolve il problema alla radice. Il quesito su cui gli elettori saranno chiamati ad esprimersi sarà quello già noto, già in corso di stampa sulle schede, tacciato dai contestatori (ma questo non era oggetto del ricorso) di somigliare a uno spot della riforma: "Approvate il testo della Legge Costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione?". Sono, come si vede, cinque domande in una sola. Ma i giudici di Milano non si mettono di traverso.

I giudici iniziano il provvedimento escludendo dal processo il presidente della Repubblica, che non poteva essere investito dal ricorso. E poi aggiungono che "lo svolgimento delle operazioni di referendum costituzionale devono svolgersi all'interno di scansioni temporali delimitate da termini perentori", e che "è di palmare evidenza che la remissione della questione di legittimità costituzionale ​non potrebbe portare ad una pronuncia della Corte in termini utili in relazione al compimento delle operazioni di voto". Pertanto "l'eventuale accoglimento del rimedio cautelare si rivela del tutto ininfluente", visto che comunque il referendum si terrebbe. Ma soprattutto la giudice Dorigo smonta uno dei pilastri del ricorso di Onida, secondo cui un solo quesito ledeva la libertà degli elettori, che avrebbero invece dovuto esprimersi su più domande: "la natura oppositiva del referendum costituzionale verrebbe a mancare, e ad essere irrimediabilmente snaturata, laddove si ammettesse la parcellizzazione dei quesiti; l'elettore, libero di scegliere su ogni singolo quesito, finirebbe in tal caso per intervenire quale organo propulsore dell'innovazione costituzionale (...) il referendum nazionale non potrà che riguardare la deliberazione parlamentare nella sua interezza, non potendosi disarticolare l'approvazione o il rigetto di un testo indiviso alla sua fonte, le cui diverse parte sono in rapporto di reciproca interdipendenza (...) Non può non considerarsi che in caso di dissenso in ordine ad alcuni quesiti referendari parziali e non ad altri, in mancanza di un potere di promulgazione parziale del presidente della Repubblica, un voto elettorale non omogeneo su tutti i quesiti bloccherebbe la promulgazione della legge di revisione anche con riguardo alla parte non colpita dal quesito referendario".

"Non ritiene dunque il Tribunale - conclude la Dorigo - di ravvisare una manifesta lesione del diritto alla libertà di voto degli elettori per difetto di omogeneità dell'oggetto referendario".

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