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È un referendum su Salvini: doppio ostacolo in Parlamento

La fiducia sul dl Sicurezza bis è un voto sul leader leghista. E Conte riferisce in Senato sul caso Russia

È un referendum su Salvini: doppio ostacolo in Parlamento

È il giorno fatidico per Salvini e per il governo. Il giorno del doppio salto mortale, della roulette russa con la pistola puntata alla tempia dell'esecutivo: al Senato alle 16,30 il caso Russia e le ombre pesanti sulle pericolose relazioni putiniane della Lega, alla Camera alle 16 l'inizio del voto di fiducia sul decreto Sicurezza bis, bandiera salviniana indigesta ai pentastellati. Il giorno, ci raccontano da settimane i media, in cui la tensione salirà alle stelle e l'esecutivo grilloleghista potrebbe rischiare seriamente di implodere.

Fuori dalla fantapolitica, però, le cose sono assai diverse: per il momento, e nonostante il mancato vertice tra i due vicepremier, il governo Conte non corre alcun rischio, e il premier andrà sereno sotto l'ombrellone. Tanto che Salvini, che aveva minacciosamente annunciato un proprio intervento in Senato «dai banchi della Lega» subito dopo la relazione del premier, ieri ha fatto capire che scherzava e che probabilmente neppure perderà tempo a metter piede in aula: «Ho degli impegni, sono pagato per occuparmi di altro», eccetera. Evidentemente, il ministro dell'Interno ha avuto rassicurazioni da Palazzo Chigi sul tenore della famosa «informativa» di Conte, e non teme più sorprese sgradite, che pure erano state fatte trapelare da chi ha la delega ai servizi segreti (ossia il premier). Specularmente, il premier non teme più un annuncio di guerra dai banchi della Lega.

E, a riprova del clima di appeasement, il dossier spinoso delle Autonomie viene buttato nel cassetto, in attesa di tempi migliori: niente Consiglio dei ministri in settimana, si vedrà se mai dopo le vacanze. Con il beneplacito di Salvini, che non ha mai avuto a cuore quella riforma (teme gli rovini la piazza elettorale al Sud) e con tanti saluti ai governatori nordisti Zaia e Fontana, scaricati dal leader su Conte: «Parlaci tu». Di Maio flauta: «Per me l'autonomia si farà, l'ho sempre detto. Ma si deve fare senza danneggiare le regioni del centro sud», e archivia così la pratica.

Se la Lega sacrificherà questo suo stendardo, i Cinque Stelle si acconceranno a rimangiarsi tutti i loro tonanti no alla Tav: il via libera alla grande opera internazionale ci sarà, il ministro Toninelli (che è diventato troppo imbarazzante persino per i Cinque Stelle) verrà lasciato al suo malinconico destino, e Di Maio e compagni faranno finta di soffrire ma di essere costretti a piegarsi dal perfido Macron e dalla sorte matrigna. E, in contemporanea alla sceneggiata russa del Senato, alla Camera i grillini voteranno come soldatini la fiducia che blinda il testo del decreto Sicurezza, l'unico provvedimento che sta a cuore al vicepremier leghista, in quanto strumento di propaganda, e contro il quale i Cinque Stelle avevano alzato le barricate. Parallelamente, per completare il quadro del gran mercato delle vacche in corso nella maggioranza, i leghisti accettano l'archiviazione del contestatissimo ddl Pillon sull'affido condiviso: ci sarà un nuovo testo, forse, un giorno, chissà. Il Pd, che aveva convocato proteste di piazza contro il provvedimento, canta vittoria: «Grazie alla mobilitazione di tante donne in Italia, oggi abbiamo fermato l'avanzamento del ddl Pillon», esulta il capogruppo Marcucci. Ma di rinuncia in rinuncia, di rinvio in rinvio, di litigio in litigio, la maggioranza gialloverde sembra intenzionata a seguire l'immortale insegnamento del defunto Borrelli: resistere, resistere, resistere. Fino a quando? Se lo chiedono i dirigenti della Lega, che confidano di non capire perché il loro capo non voglia rompere con i grillini.

E non hanno risposte.

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