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Renzi asfalta pure Alfano: "Una legge sulle coppie gay"

Il premier inguaia Ncd: "Sì alle nozze omosessuali". Verso la fiducia alla Camera per blindare il Jobs Act dagli attacchi della minoranza

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi durante la cerimonia di posa della prima pietra dello stabilimento Philip Morris di Crespellano
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi durante la cerimonia di posa della prima pietra dello stabilimento Philip Morris di Crespellano

Con uno dei suoi consueti scarti, Matteo Renzi si è già lasciato alle spalle il Jobs Act e ha aperto nuovi dossier, a cominciare da quello della semplificazione fiscale e senza trascurare neppure di dare anche un colpo a sinistra smentendo l'attivismo benpensante di Angelino Alfano: «Le unioni gay? Faremo la legge. E non è una battuta, è la verità».

Il suo partito, però, fatica a stargli dietro. La minoranza Pd cerca una linea da tenere alla Camera, e non sarà facile. A Palazzo Madama è andata come è andata, e Renzi si è ritrovato persino con dei voti in più. Ora il Jobs Act deve approdare a Montecitorio e Renzi ha già fatto intendere che non si farà certo problemi a mettere la fiducia anche alla Camera, visto che non ha alcuna intenzione di cambiarne il testo, cosa che comporterebbe un nuovo passaggio al Senato con conseguenti problemi e spaccature.

Ma per la sinistra Pd sono ore difficili, forse le più dure da quando ha perso le primarie contro Renzi. Gli tocca sopportare gli sberleffi di Grillo, che li chiama «pecorelle belanti» e le ironie della Cgil, che con Carla Cantone li ha presi di mira ieri ad Agorà : «Devono mettersi d'accordo con se stessi. Non puoi dire che non sei assolutamente d'accordo con le scelte del governo e poi dichiarare di votare la fiducia. Non è coerente. Allora è meglio stare zitti, che si fa una figura migliore». La minoranza è divisa tra duri e dialoganti, con diverse gradazioni. Sulle barricate restano Pippo Civati, Stefano Fassina, Alfredo D'Attorre. «Senza modifiche significative voterò no al provvedimento», assicura Fassina. D'Attorre non vuol neanche sentir parlare di fiducia: «Si porrebbe un serio problema di rapporti fra governo e Parlamento. Non si può praticare un presidenzialismo de facto privo di contrappesi». Civati invece già da giorni spiega che lui è pronto a votare anche contro la fiducia, sempre nella speranza che Renzi perda la pazienza e lo cacci. Il premier però si guarda bene dal regalare ai suoi oppositori interni l'aura da martire del novello Fini, e anzi ha chiesto anche al gruppo del Senato di evitare processi e drammatizzazioni, quando la settimana prossima l'assemblea dovrà affrontare il caso dei tre che non hanno votato la fiducia. Dalla vecchia guardia, anche Rosy Bindi fa la voce grossa: «Se il Jobs Act resta così farò molta fatica a votarlo, anche perché credo sia incostituzionale», assicura. Ma già si intuisce che la presidente dell'Antimafia sopporterà la fatica. La componente bersanian-cuperliana di Area Riformista, invece, ragiona su come minimizzare le perdite: «Poiché non ci saranno emendamenti», spiega un suo dirigente, «per sbloccare la situazione serve una dichiarazione impegnativa del governo, che dica chiaramente che nei decreti delegati si terrà conto di quanto ha deciso al Direzione Pd sui licenziamenti disciplinari». A quel punto, la sinistra potrà rivendicare un sia pur piccolo passo avanti, e votare la fiducia. Il vero terreno di scontro con Renzi sarà un altro: la legge elettorale. «L'Italicum va cambiato», dice la stessa fonte, «se il premier e Berlusconi vogliono i capi lista bloccati, lavoreremo per ridurre a 40 al massimo le circoscrizioni. Così Renzi avrà 40 eletti suoi e tutti gli altri saranno scelti con le preferenze». Su questa linea si starebbero muovendo, per boicottare il patto del Nazareno, anche D'Alema e Fitto, uniti da antica amicizia pugliese.

«Ma in questa fase», dice un parlamentare bersaniano, «dubito che D'Alema e Fitto possano fare qualcosa di più che cambiare un consigliere comunale a Lecce, altro che Italicum».

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