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Renzi come Bersani: 59 franchi tiratori rottamano i suoi piani

Il segretario Pd non controlla più il gruppo Si cerca la tregua. Ma le urne si allontanano

Renzi come Bersani: 59 franchi tiratori rottamano i suoi piani

Matteo Renzi inciampa sull'isteria grillina. La giravolta del M5s sulla legge elettorale trasforma in un incubo il sogno di una rivincita renziana dopo l'addio a Palazzo Chigi. La legislatura si avvia alla conclusione nello stesso modo in cui è decollata: nel 2013, Beppe Grillo aveva detto no a un governo di minoranza, messo sul piatto dall'allora segretario dei dem Pier Luigi Bersani, aprendo la strada a un esecutivo delle larghe intese guidato dal premier Enrico Letta. Oggi, la base grillina impone la retromarcia al leader del Movimento sull'intesa con Pd, Forza Italia e Lega Nord, facendo saltare l'approvazione della riforma elettorale. Rottamatore (Renzi) e rottamato (Bersani) sembrano avere un destino comune. Destino che porta all'incubo Cinque stelle. Sembra uno scherzo ma invece è la pura e dura realtà che inchioda Renzi. C'è un altro passaggio che accomuna Renzi e Bersani: i franchi tiratori. Nel 2013, l'ex segretario del Partito democratico tentò la mossa disperata di spedire Romano Prodi al Quirinale per ottenere l'incarico di formare un governo. Il piano di Bersani naufragò in Parlamento sotto i colpi di 101 franchi tiratori che sbarrarono la strada del Professore verso la Presidenza della Repubblica. La disfatta spinse l'ex ministro dello Sviluppo economico a rassegnare le dimissioni dalla guida del Partito. Nella versione aggiornata del dramma Pd a trazione renziana spuntano di nuovo i franchi tiratori: sono 59 i parlamentari tra Pd e M5S che ieri hanno fatto saltare le trattative sulla legge elettorale, accogliendo un emendamento, bocciato in commissione Affari costituzionali, a firma della deputata di Forza Italia Michaela Biancofiore che riguarda l'applicazione anche riforma elettorale anche nei collegi elettorali del Trentino Alto-Adige. Un incidente parlamentare che azzera mesi di trattative. Si riparte da zero: il testo della riforma elettorale ritorna in commissione. Rispetto a quattro anni fa, c'è una differenza sostanziale: nel 2013 era stato il leader del M5S Grillo a dire no all'intesa con il Pd per la nascita di un governo di minoranza guidato da Bersani. Oggi, il comico genovese aveva dato l'ok all'accordo con Pd-Forza Italia e Lega Nord sul modello tedesco di riforma elettorale. La strategia di Grillo è stata, però, smentita dal gruppo parlamentare che ha affossato il patto sulla legge elettorale. Tra gli sconfitti c'è, dunque, anche Grillo, messo in minoranza dall'ala ortodossa. Renzi, incassato il colpo, ha riunito la segreteria del partito per decidere le future mosse. A differenza di Bersani, non c'è all'orizzonte l'ipotesi delle dimissioni dalla guida del Partito. Il rottamatore valuta due strade: la prima, riprendere le trattative sulla legge elettorale, così come ha auspicato anche il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi; la seconda, più complicata, forzare sulle elezioni anticipate chiedendo al governo Gentiloni un decretino per calibrare il Consultellum sul sistema di voto al Senato. La seconda strada non sembra percorribile. Dal Nazareno trapela l'idea di una tregua: una pausa di riflessione che passa per il voto delle amministrative di domenica e per la ripresa dei lavori in Parlamento. Un rallentamento che manda in soffitta la prospettiva del voto a settembre che a meno di sorprese eclatanti non appare più uno scenario concreto.

Con lo stop in aula, infatti, il varo della legge elettorale rischia di slittare definitivamente, scardinando il calendario che voleva l'approvazione a giugno alla Camera e a luglio al Senato.

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