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Renzi in campagna elettorale. Ma tace sul flop in Germania

L'ex premier non parla della sconfitta dell'Spd, partito fratello. E scimmiotta Macron, ormai in caduta libera

Renzi in campagna elettorale. Ma tace sul flop in Germania

A un certo punto del comizio di chiusura della Festa dell'Unità a Imola (tanto per ricordarlo, il quotidiano da lui soppresso dopo 90 anni di storia), è stato come un'ombra che gli passasse davanti gli occhi. «Forse ho sbagliato a farla troppo facile...», ha detto, il segretario Matteo Renzi. Sembrava un accenno di autocritica. Non lo era. Solo un istante di vuoto, uno solo, il timido affacciarsi di un dubbio, magari. Subito ricacciato via, per fortuna.

Anche perché lui si considera già in piena campagna elettorale e lo dice apertamente («Ragazzi, basta litigi: ora siamo in modalità campagna elettorale») e si comporta di conseguenza. Dunque, con quel bagaglio un po' pasticciato di cose diverse, nel quale domina la fantasia oltreché la faciloneria. Attacchi agli avversari e pratica evasa. Renzi ha parlato prima che si conoscessero i risultati del voto in Germania, certo. Certo, c'era da ringalluzzire un partito sfibrato dalle liti, dall'attacco esterno degli scissionisti, da due-tre anni di governo fiacco e neppure scelto dalla volontà degli elettori. Ma il leader liquida la scontata vittoria della Merkel con una battuta ironica che parla al futuro dell'Italia («In Germania sono strani, hanno già deciso che vince la Merkel anche se non sanno qual è l'alleato da metterle di fianco»), mentre non spende una parola sulla crisi dei partiti gemelli, come la Spd. Contro i populisti i soliti slogan e una previsione quantomai approssimativa e fallace: «Giocheranno tutte le carte in Italia, perché perderanno pure in Germania». Piuttosto, suggerisce alla pattuglia di dirigenti e quadri locali di «non cadere nelle provocazioni, perché nei talk show ci insulteranno e dovremo subire». Quindi lo scimmiottamento di Macron (ora in caduta libera nei sondaggi), che «con il 23% governa la Francia: non è una deriva, si chiama democrazia», dice. Quasi un inno alla bellezza dello stare in minoranza, tenersi il potere e fregarsene degli elettori. E allora che cosa resta, di questo Renzi per il quale le prossime elezioni siciliane potrebbero suonare le campane a morto? Gli attacchi ai nemici, il solito sostegno a Gentiloni, la classica sordina alle differenze interne: «L'amalgama funziona, perché Minniti fa la destra e Delrio la sinistra... Considerando da dove vengono l'esperimento è fantastico...». Un monito a non esercitare ricatti nel prossimo voto sul Def, indirizzato agli alleati più voraci del momento (Ap e Svp) e, soprattutto, ai bersaniani («Nessuno si smarchi»). È contro la sinistra che il segretario rivolge gli strali più acuminati: «Noi stiamo con Obama, non con Bertinotti, che ha fatto cadere il governo e vincere la destra... C'è qualcuno alla nostra sinistra o presunta tale che ci ha educato alla bandiera, alla ditta e alla prima occasione ha lasciato bandiera e ditta per un risentimento personale». Quindi gli attacchi scontati ai grillini, perché «da noi votano in milioni, non siamo dipendenti di un'azienda privata... Noi non aggrediamo giornalisti... Noi abbiamo creato un milione di posti di lavoro, loro vogliono il sussidio per tutti... ». Infine, la Lega di Salvini. «Lega ladrona - urla Renzi -, Roma ha perdonato anche troppo... Hanno portato via i diamanti dalla Tanzania e comprato lauree in Albania, la globalizzazione delle truffe... Salvini è andato in Corea del Nord con Razzi, il suo ministro degli Esteri...». Frizzi, lazzi e battute buone per i titoli di qualche giornalone amico.

Resta un po' poco, persino per chi la faceva facile.

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