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Pd, dopo il flop alle regionali la minoranza processa Renzi

La minoranza Pd affila le armi in vista della direzione nazionale di stasera: "Renzi ci ascolti se vuole arrivare al 2018"

Pd, dopo il flop alle regionali la minoranza processa Renzi

Resa dei conta o tregua armata? La direzione Pd di stasera per Matteo Renzi è cruciale: può mantenere intatto lo status quo o può preludere allo strappo definitivo della minoranza dem.

L’ex capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, dalle pagine di Repubblica, avvisa il premier: “Renzi può arrivare al 2018 solo se fa il contrario di quello che ha fatto negli ultimi mesi e cioè con un deciso cambio di rotta, cancellando l'idea del partito della Nazione, cambiando su scuola e riforme, andando dritto sui diritti civili, introducendo un provvedimento per la lotta alla povertà”. Dato che le Regionali non hanno decretato la fine del centrodestra, per Speranza “la priorità politica è costruire un Pd che sia e resti il grande soggetto del centrosinistra. Quindi, va scongiurata definitivamente l'ipotesi del partito della Nazione in cui scompaiono i confini tra destra e sinistra". Secondo Speranza è importante riflette sul segnale mandato da una parte dell’elettorato di sinistra che ha negato al Pd il consenso ottenuto alle primarie. Sulla stessa lunghezza d’onda sono si trova Guglielmo Epifani che, intervistato dal Corriere della Sera, dice: “"Il Pd ha tenuto, ma il campanello d'allarme non va sottovalutato. L'astensione sale per tutti e colpisce molto anche il Pd. In Umbria abbiamo vinto per 15mila voti e in Campania per 60mila o poco più. Sventato un pericolo, dobbiamo capire perchè lo abbiamo corso".

Sia Speranza che Epifani concordano che, con la riforma della scuola si pagato il prezzo più alto ma non solo."Su Italicum e Jobs Act – afferma l’ex capogruppo - il premier ha sbagliato. Gioisca a mettere nell'angolo la destra, non la sinistra". Secondo Epifani, invece, il Pd paga elettoralmente anche “l'Imu agricola, le voci incontrollate sulle pensioni e la crisi. Non si può sempre procedere per strappi, sulla scuola ci giochiamo il rapporto con parti fondamentali del Paese". Se il premier tira dritto, "con il Pd diviso – spiega l’ex segretario del partito - rischia di arrivare al 2018 indebolito. Renzi è il segretario di tutti, non di una parte. Tocca a lui proporre una strada al Pd". Il senatore Miguel Gotor, uno dei principali dissidenti che sta lavorando per cambiare il ddl Buona scuola a Palazzo Madama, chiede di finirla “con la ricerca dei nemici interni” e di tornare al “metodo Mattarella” perché “l’espansione a destra del Pd si è evidentemente fermata con le regionali, sulla scuola abbiamo perso centinaia di migliaia di voti: è suonata una campana e Renzi ne è perfettamente consapevole”.

Sullo sfondo il rischio di nuovi abbandoni, primo fra tutti quello di Stefano Fassina che sibillinamente glissa il tema: “Lasciare il Pd? Il punto è capire se il Pd si riavvicina al popolo democratico, è la condizione per fare riforme progressive”.

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