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Renzi contro i traditori: "Primarie? Non corro". Ma prepara il riscatto

L'ex premier duro con il fuoco amico nel Pd. "Ha fatto fallire due volte il nostro progetto"

Renzi contro i traditori: "Primarie? Non corro". Ma prepara il riscatto

Roma - Non aderire né sabotare, almeno per ora. Matteo Renzi torna in tivù ospitato nel salotto della Palombelli (Stasera Italia) sulla rinnovata Retequattro. Ma non è altrettanto rinnovato, il repertorio dell'ex segretario, così come non è affatto inedita la velenosa guerra interna al Pd che porterà tra febbraio e marzo (Delrio vorrebbe addirittura gennaio) al congresso e al nuovo segretario.

Ma se Nicola Zingaretti pare riuscire a coagulare attorno a sé un buon numero di consensi, e persino i renziani avevano avuto l'ordine di non attaccarlo, ieri Renzi ha voluto chiarire che non si accontenterà di guardare l'ascesa zingarettiana dalla finestra (cosa prevedibile) e che «un altro candidato ci sarà; non è detto che il mio sia Zingaretti. Non riduco la discussione a un toto-nomi: Zingaretti, Calenda, Gentiloni...». Furbetta tattica attendista, per l'ex leader che prende tempo delegittimando gli avversari («come si fa a pensare al congresso se lo spread sale a 300 punti? Significa che qualcosa non funziona») e confermando di non voler più partecipare a primarie. «Ho già dato due volte e due volte sono stato bersaglio del fuoco amico, che ha fatto fallire il progetto del Pd». La colpa, come di prammatica, è degli altri. «Noi abbiamo governato per mille giorni facendo tante cose. Qualcuna venuta bene, qualcuna meno», rivendica senza rispondere alle mille accuse che in queste settimane gli sono piovute addosso per la sfilza di errori che hanno condotto il Pd fuori dalle stanze dal potere, al minimo storico, e in torbida crisi esistenziale.

Renzi non è abituato ai mea culpa, lo si sa. Il massimo che riesce a spremere, contro se stesso, è la persistenza nell'errore. «Ne ho compiuti? Certo. Il più grande è stato smettere di rottamare, l'esatto opposto di ciò che mi accusano». Nessuna replica diretta ai detrattori, in particolare all'ex alleato Franceschini che ormai ha portato armi e salmerie nel campo zingarettiano. Per il momento, l'ex leader si accontenta di sottili allusioni. Gli strali sono tutti per il governo e gli odiati Salvini («siamo come il diavolo e l'acqua santa») e M5S, con i quali «è impossibile allearsi, la mia concezione della democrazia è diversa». Anche per i rapporti con i Benetton, e la caduta del ponte di Genova, Renzi si sente immacolato: «No, non mi sento in colpa. Ora ci vuole un colpevole o si alimenta la demagogia, non si può scaricare su chi c'era prima come hanno fatto Di Maio e Toninelli».

Invece di attaccare il governatore del Lazio, Renzi si limita perciò a usare argomenti a proprio uso e consumo. «Senza un leader vero nel Pd avrete sempre un partito senza spina dorsale... Con la personalizzazione il Pd era al 40% (il solito dato tarocco sulle Europee '14 , ndr). Spersonalizzando e puntando sulla sobrietà, al 18%». Punturina per Gentiloni? Macché, il Renzi del primo round televisivo va di fioretto, arsenico e merletti. «Sono felice di aver portato Gentiloni, che Bersani voleva buttare fuori, a Palazzo Chigi...». La stoccata finisce così per beccare il povero ex segretario, sconfitto e «scissionista».

Segno che il Pd perdona - Zingaretti propone il ritorno dei vecchi compagni -, Matteo proprio no.

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