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Tra Renzi e l'Europa adesso è rissa

Il premier replica a Juncker e Katainen lo attacca: "Non siamo maestrini". Draghi incalza: "Subito la riforma del lavoro"

Tra Renzi e l'Europa adesso è rissa

«Per far sì che ritornino gli investimenti bisogna porre l'accento sulle riforme strutturali, che devono essere più ambiziose». Insiste, Mario Draghi. Anche a costo di apparire ripetitivo. È il suo modo di contrapporsi alla pachidermica lentezza di chi si oppone ai cambiamenti, di chi pensa di delegare alla Bce il compito di riportare il benessere in Europa. Anche se la portata delle nuove misure straordinarie «sarà notevole» («ma è difficile dire la cifra, preferiamo non farla»), e malgrado il programma di acquisto degli Abs «verrà avviato a prescindere dalle garanzie di Stato», nessuno stimolo monetario, «da solo, può bastare», dice secco durante la conferenza stampa al termine dell'Eurogruppo svoltosi ieri a Milano. La fragile ripresa, lo stallo della crescita nel secondo trimestre, sembrano dargli ragione.

Il capo dell'Eurotower non fa nomi, ma è difficile non cogliere nelle sue parole l'ennesimo richiamo all'Italia, più volte tirata in ballo durante l'intera estate per il rapporto di causa-effetto che lega l'incertezza sulle riforme alla nuova contrazione accusata dal nostro Pil. E dove il vento riformista soffia più debole è sul mercato del lavoro, in particolare su quel Jobs Act incagliato sullo scoglio dell'articolo 18.

È proprio questo il versante su cui l'Eurotower vorrebbe una maggiore rapidità di azione e l'abbandono di ogni resistenza, così da agevolare quella che per i ministri finanziari dell'eurozona è diventata «una priorità», ovvero la riduzione delle tasse sul lavoro, ora superiori alla media Ocse e particolarmente penalizzanti per i dipendenti. «Ridurre il carico fiscale sul lavoro - si spiega in un documento - ha il potenziale per sostenere i consumi, stimolare l'offerta di lavoro e l'occupazione, come pure di migliorare la competitività sui costi e la profittabilità delle imprese. Pertanto aumenterà la domanda, la crescita e sosterrà la creazione di posti di lavoro, contribuendo ad un funzionamento ordinato dell'Unione monetaria».

Questa sforbiciata deve però saldarsi soprattutto a «un più ampio programma di riforme del mercato del lavoro». Ma come reperire le risorse necessarie? «Mediante risparmi in altre parti del sistema» e nel rispetto degli obiettivi fiscali in linea con il Patto di stabilità. Un concetto ribadito dallo stesso Draghi, secondo cui i progressi fatti sul fronte del consolidamento «non devono essere guastati», nel rispetto del Patto che «è un'ancora di fiducia». Da qui non si deroga, nonostante la Francia intenda ottenere il via libera per ritardare il processo di aggiustamento del deficit dal 4,4% attuale al 3%. «Parigi è Parigi. Noi lo rispetteremo», ha detto con sottile ironia il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Più duro, in un tweet mattutino, era stato Matteo Renzi: «Noi rispettiamo il 3%. Siamo tra i pochi a farlo. Da Europa dunque non ci aspettiamo lezioni, ma i 300 miliardi di investimenti». Un cinguettio che il falco Jyrki Katainen, commissario agli Affari economici e futuro vicepresidente della Commissione gradito dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha rimbeccato con un asciutto: «La Commissione europea non è una maestra, siamo collaboratori. Stiamo solo valutando quanto i singoli Paesi stiano rispettando le promesse e gli impegni che hanno preso». Padoan ha inoltre ricordato come il programmato 2,6% di disavanzo italiano per quest'anno fosse «compatibile con un quadro macroeconomico diverso». Quanto alla Bce, che nel Bollettino ha chiesto all'Italia uno sforzo di consolidamento maggiore e nella sostanza una manovra aggiuntiva, il ministro si è limitato a replicare che «stiamo lavorando alla legge di stabilità che per definizione impatta sui conti».

Sul piano di alleggerimento del carico fiscale sul lavoro l'Eurogruppo si è comunque già dato una tabella di marcia che per i governi ha il sapore di un invito a far presto: a novembre, quando sarà il momento di valutare le bozze dei piani di budget degli Stati membri, saranno infatti esaminati i piani varati per il taglio delle tasse; l'implementazione delle riforme dovrebbe avvenire nella primavera del 2015. Per assicurare il successo di una strategia riformatrice - ricordano i ministri - è importante assicurare un ampio supporto politico e sociale attraverso consultazioni con tutte le parti in causa, oltre che per mezzo di un'introduzione graduale delle riforme. Un approccio morbido per evitare le tensioni che verrebbero a crearsi se l'impianto del nuovo mercato del lavoro dovesse prevedere, come richiesto da più parti, non solo più flessibilità in entrata, ma anche maggiore libertà di licenziamento.

O, come proposto da altri, una vera e propria rottamazione dello Statuto dei lavoratori.

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