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Renzi fa infuriare Calenda e Orlando corre da Pisapia

Stop Pd al ddl concorrenza. Il ministro: non capisco Dem in fibrillazione per la mossa del Guardasigilli

Renzi fa infuriare Calenda e Orlando corre da Pisapia

«Tutte le letture politiche sono sbagliate», giura il capo dei deputati Pd Ettore Rosato. Eppure le letture che si danno a Montecitorio e dintorni allo stop renziano sul ddl Concorrenza sono solo politiche: «Renzi ha voluto mettere un dito nell'occhio al ministro», è la sintesi di un parlamentare Pd.

Calenda (corteggiato a destra da Berlusconi e a sinistra da Prodi) non nasconde per nulla la sua irritazione, dopo che ieri in commissione alla Camera il Pd ha fatto passare, con i voti anche del centrodestra e dei grillini, quattro emendamenti al testo. Emendamenti solo «chiarificatori, e non sostanziali», dice il ministro allo Sviluppo economico, che potevano essere evitati. Col risultato che ora, per approvarlo, occorrerà una nuova lettura del Senato. E con il rischio, sospirano a Palazzo Chigi, di vederlo finire su un binario morto perché non si farà in tempo ad approvarlo prima della fine della legislatura. «Non riesco a spiegarmi quel che accade alla Camera», si sfoga Calenda. Che ricorda il «calvario» del provvedimento: «è una legge varata dal governo Renzi 851 giorni fa: li sto contando come i carcerati». Ora i tempi saltano, e Calenda avverte: «Spero proprio che il Pd non si trasformi dal partito che doveva rottamare le rendite e le caste al partito che invece rottama la concorrenza».

Il governo (dal premier Gentiloni ad Alfano allo stesso titolare dello Sviluppo) hanno tentato di evitare il rallentamento, proponendo di mettere la fiducia sul testo per sbloccarlo subito, ma il Pd ha tenuto duro e ha ottenuto le quattro modifiche su telemarketing, energia, odontoiatri e assicurazioni. Nessun «dispetto» a Calenda, assicura Renzi: «Io volevo una modifica sulla parte energetica, perché c'era il rischio di penalizzare i consumatori. Ma il ministro ha chiesto la fiducia al Senato e non si è potuto cambiare: ora lo faremo alla Camera», ha spiegato in Segreteria. Poi «tra 15 giorni il ddl può andare al Senato e passare con la fiducia: nessuno vuole insabbiarlo». Matteo Orfini, cui Renzi (in vacanza per qualche giorno con moglie e figli) ha delegato il dossier, lamenta che a «politicizzare» la questione è stato il ministro, che il Pd gli ha chiesto un incontro senza ottenerlo, e assicura: «Il ddl passerà, ma senza penalizzare i consumatori. I quali ne avrebbero chiesto conto al Pd, non al singolo Calenda». Il risultato comunque è che il Pd renziano vince un braccio di ferro col governo, ma che gli equilibri nella maggioranza si confermano alquanto precari: Calenda e i centristi alfaniani sono furibondi, e Gentiloni è preoccupato per il destino di una riforma importante, in gestazione da anni. Mentre Mdp, con Roberto Speranza, minaccia: «O sulla Finanziaria c'è una svolta a sinistra, o ve la votate con Berlusconi».

Intanto il ministro dem Andrea Orlando annuncia la sua partecipazione alla kermesse del primo luglio organizzata da Giuliano Pisapia perché «è giusto unire tutte le forze che lavorano per un centrosinistra plurale, e non rassegnarsi alla logica delle larghe intese», e avverte Bersani e D'Alema: «Il segretario del Pd è Renzi, e senza Pd non si fa il centrosinistra». Ma ipotizza una «consultazione» sulla leadership della coalizione suscitando le ire del renziano Guerini: «Abbiamo appena celebrato un congresso con la chiarissima legittimazione del segretario.

Non vorrei che si fingesse di scordarlo».

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