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Renzi: «Mai passacarte dei giudici» Spunta la proposta Pd sullo ius soli

Roma Prima la «botta» della minoranza Pd al Senato, poi i dati pesanti sulla crisi del Mezzogiorno e quelli sull'occupazione. Con il Financial Times che descrive un Matteo Renzi che non ha più «il vento in poppa» e che deve riuscire a portare a casa le riforme tra mille ostacoli. Una giornata poco felice, in cui spunta anche un disegno di legge "Ius Soli soft" presentato in commissione Affari Costituzionali alla Camera dalla relatrice del Pd Marilena Fabbri del Pd. I minori stranieri nati in Italia o residenti da anni nel Paese potranno ottenere la cittadinanza italiana, se rispettano alcune condizioni come la frequenza scolastica o la residenza nel Paese da più anni da parte di uno dei genitori. È quanto prevede il testo che riprende il cammino già iniziato sotto il governo Letta. Il premier si presenta in sala stampa a Palazzo Chigi, al termine del Consiglio del ministri, e affronta con piglio deciso l'assedio dei cronisti, domande scomode incluse. A cominciare da quelle sul caso Azzollini, che ha aperto una nuova faglia polemica col fronte giustizialista.

Renzi però difende la scelta del Senato di negare gli arresti per l'esponente Ncd, smentendo seccamente anche chi, come la sua vicesegretaria Debora Serracchiani, la aveva criticata. E va giù duro nel difendere il ruolo del Parlamento: «Non siamo dei passacarte della Procura di Trani. Il Senato non è il passacarte della Procura», scandisce. E difende la scelta del capogruppo Pd Zanda di lasciare libertà di voto ai suoi senatori: «Quando ha visto le carte ha detto vi lascio libertà di coscienza, perché anch'io sono convinto che questa sia una vicenda molto complicata e su cui il fumus persecutionis potrebbe esserci». Quanto allo sgambetto della minoranza Pd in Senato sulla Rai, Renzi ne dà una lettura tutta politica: «Hanno voluto approfittare delle molte assenze per mandare un messaggio al governo. È un metodo che non mi appartiene: quando eravamo in minoranza noi non facevamo certo così. Ma non mi fanno paura: andiamo avanti lo stesso: i numeri ci sono, sia alla Camera che al Senato, e noi non siamo preoccupati». Del resto, «andare sotto su singoli emendamenti è normale», l'importante è il risultato: la riforma è stata approvata, e in seconda lettura a Montecitorio si «correggerà» quel che è stato modificato col voto della minoranza Pd e di Fi. E difende il Jobs Act, nonostante i dati negativi di giugno sul lavoro: Il quadro è «ancora molto lontano da quello che vorremmo, ma la direzione è giusta», dice. Il Jobs Act «ha stimolato l'occupazione e ha consentito di tornare al segno più», spiega il premier, facendo notare tuttavia che «l'occupazione è sempre l'ultima cosa a ripartire dopo un periodo di crisi, preceduta da produzione industriale, consumi e Pil». E le cifre date dall'Istat segnalano che «crescono sia gli occupati che i disoccupati, perché gli inattivi, che erano sfiduciati o rassegnati, tornano a crederci e a cercare lavoro.

Anche questo è un indice di piccola ripartenza».

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