Politica

Renzi è nella bufera E ora pensa di imporre il segreto di Stato

Dopo la fuga di notizie sulla guerra in Libia il premier vuole blindare le operazioni

Doveva restare tutto segreto. Ma in realtà l'azione militare che l'Italia sta svolgendo in Libia svelata da Repubblica, è stata preparata a livello politico da mesi e il premier Renzi si era garantito la massima riservatezza prima con una legge, la 198 del dicembre 2015, votata anche dalle opposizioni, e poi con un suo decreto del 10 febbraio, subito secretato.

Lo scopo legittimo era di proteggere le nostre forze impegnate sul campo, incursori del Col Moschin (esercito) e del Comsubin (marina). Quello non dichiarato di mantenere il solito volto ipocrita che l'Italia sfodera in queste occasioni (vedi la narrazione delle «missioni umanitarie» in Afghanistan e Irak) ed evitare le consuete polemiche politiche. Che infatti in queste ore esplodono. Tanto che Renzi sarebbe assai indispettito dalle rivelazioni di queste ore e avrebbe sul tavolo l'ipotesi di ricorrere a un ulteriore blindatura delle notizie dalla Libia, ricorrendo al segreto di Stato.

Tutti ora chiedono di riferire in Parlamento, a partire dai grillini: «Gravissimo - recita una nota congiunta dei parlamentari M5s delle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato - che gli italiani apprendano delle operazioni in Libia dalla stampa e non dal governo, che sino ad oggi ha nascosto la verità al Parlamento e al paese senza mai degnarsi di metterci la faccia e dire le cose come stavano». Eppure anche l'M5s, insieme alla maggioranza e al centrodestra, ha votato la legge che consente a Palazzo Chigi di mobilitare all'estero «forze speciali della Difesa con i conseguenti assetti di supporto della Difesa», senza voto del Parlamento, acquisito un parere non vincolante del Copasir, visto che l'articolo 7bis, affida il coordinamento di questa «guerra segreta» non ai militari ma all'Aise, il servizio segreto per l'estero.

Il Copasir va informato entro trenta giorni e in effetti una decina di giorni fa ha ricevuto un documento riservato sull'operazione, con l'obbligo di non divulgarlo. Ma non è bastato. E così le notizie sono arrivate sui giornali prima che in Parlamento, provocando il fuoco incrociato sul governo. Lo stesso ministro Gentiloni, annuncia la prossima riapertura dell'ambasciata a Tripoli, sotto la guida di Giuseppe Perrone, diplomatico esperto, ma sul tema delle operazioni sul campo al Corriere prima dice che «non abbiamo missioni militari in Libia» poi, interrogato su azioni dei servizi, si trincera dietro a un «non commento per definizione operazioni di natura riservata».

Il punto vero è la dimensione dell'intervento. Il capogruppo di Forza Italia al Senato Paolo Romani, da pochi giorni membro del Copasir, si attiene all'obbligo di riservatezza, ma sul punto politico aggiunge di «sperare che il governo risponda in modo adeguato alle richieste di intervento, visto che i problemi della Libia ci riguardano più di altri e che ora ha la necessaria copertura legislativa». Concetto rafforzato dal generale Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, secondo cui «il nostro impegno in Libia è sotto il minimo». «Personalmente - aggiunge - ritengo che questa attenzione esasperata un po' voyeuristica relativa alla presenza di un nostro contingente di forze speciali in Libia sia assolutamente fuori luogo e denuncia la debolezza del pensiero, nel nostro Paese, in materia di sicurezza e di difesa».

Insomma la prima guerra segreta di Renzi, che proprio ieri in un collegamento dal Comando interforze ha fatto gli auguri a tutti i soldati italiani in missione, per ora è solo una «guerretta». Ma sufficiente a scatenare il fronte pacifista.

E forse qualche malumore tra i militari: perché sulla nuova catena di comando che li pone sotto il controllo dei servizi qualche dubbio resta.

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