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Renzi ora imita pure Grillo e corteggia gli ex comunisti

Si proclama «argine della democrazia», annuncia una nuova scuola di partito e lancia una piattaforma web

Renzi ora imita pure Grillo  e corteggia gli ex comunisti

Da Torino, Matteo Renzi apre la corsa alle primarie. Una gara più aperta e meno certa che mai, con «figlio del partito» Andrea Orlando che tenta di insidiare il primato renziano dentro il Pd e il populista Michele Emiliano che tenta di scalfire quello nelle urne aperte del 30 aprile, invadendo le tv col suo faccione e i suoi slogan grillini.

Ma l'ex premier, si sa, davanti alle sfide difficili si galvanizza, e non ha timore a dichiarare senza ipocrisie il suo obiettivo: il ritorno a Palazzo Chigi, da capo confermato del partito che oggi è, sottolinea tra gli applausi della fitta platea del Lingotto, l'unico «argine della tenuta democratica del Paese», assalito dall'onda montante del populismo. Perché, spiega Renzi, «deve essere chiaro che essere il segretario del partito e il candidato alla guida del governo non deriva solo dallo statuto del Pd o da un ambizione personale, ma è una consuetudine europea fondamentale. In tutta la Ue, i leader dei governi, dalla Merkel alla May, da Hollande a Rajoy, sono anche i leader dei propri partiti». Certo, ora a Palazzo Chigi c'è un altro premier, dopo le sue dimissioni a seguito al «brusco stop» della sconfitta referendaria, e Renzi ci tiene a spazzare subito via ogni ombra dal suo rapporto con Paolo Gentiloni: «Noi siamo convintamente al suo fianco, non siamo qui per far ripartire un governo che sta andando avanti e realizzando molte cose». Quindi, avverte i giornalisti, «non aspettatevi che vi dia un titolo su questo». Agli scissionisti dalemian-bersaniani dedica un passaggio duro e un addio senza rimpianti, confermato dal diluvio di applausi della platea democrat: ora basta «battaglie rancorose contro qualcuno o qualcosa, quel quotidiano nauseante ping pong di queste settimane e mesi che ha stancato anche gli addetti ai lavori e non ha senso». Capitolo chiuso: agli sfidanti delle primarie, Renzi manda «un caloroso in bocca al lupo: da noi non arriveranno mai attacchi e polemiche ad personam come quelli che abbiamo dovuto subire».

Al partito, creatura un po' trascurata negli anni a Palazzo Chigi, dedica una nuova attenzione: promette «più collegialità» invoca «circoli più aperti», liquida le polemiche sul tesseramento: «Abbiamo 420mila iscritti: qualche problema ci può pure essere. Altri partiti scelgono i candidati con 20 voti».

E annuncia (con un filo di captatio benevolentiae per la sinistra ex Pci) una scuola di partito che formi la nuova classe dirigente (la chiama addirittura «Frattocchie 2.0») nonché una nuova piattaforma web per contrastare il triste primato grillino su Internet: «Domenica presenteremo la nostra piattaforma sul web. Si chiamerà non Rousseau (come quella della Casaleggio, ndr) ma Bob, come Bob Kennedy. Non lasceremo la straordinaria invenzione del web nelle mani di chi fa business e soldi con gli ideali degli altri».

Poi il rilancio dell'europeismo, cui «ridare anima». Per Renzi «occorre rimettere in campo il principio democratico dell'Europa. L'Italia deve impegnarsi per l'elezione diretta del presidente della Commissione, e il Pse deve proporre primarie transnazionali per scegliere i candidati. Democrazia, non burocrazia». E l'attacco ai predecessori, da Monti a (forse) Letta: «Ci sono stati premier che andavano in Europa come noi andavamo a scuola, con la giustificazione in mano, e tornavano dicendo ce lo chiede l'Europa.

Distruggendo l'idea di Europa».

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