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Renzi ora è più debole, il voto si allontana

Sempre più improbabile che il Colle possa sciogliere il Parlamento a gennaio

Renzi ora è più debole, il voto si allontana

Roma - Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, appena uscite le stime preliminari dell'Istat sul primo trimestre, ha pubblicato un lungo comunicato nel quale sostiene che quella crescita del Pil (per la verità un po' striminzita se paragonata a quella dei partner europei) è il risultato di «una politica economica che dal 2014 ha proceduto con coerenza lungo un sentiero stretto». Il riferimento all'anno in cui si è insediato il governo Renzi è il tentativo di tenere lontano il dato Istat dalle beghe interne della maggioranza e includere tra i meritevoli anche l'ex premier, attualmente segretario Pd. Ma il passaggio sul «sentiero stretto», è un modo gentile per dire: avevo ragione io quando con il precedente esecutivo mi rifiutai di rompere con l'Unione europea e continuo ad avere ragione oggi a non volere una revisione dei patti europei, come chiede Renzi.

Insomma, i dati Istat usciti ieri sono tutto fuorché neutri politicamente e lo dimostra il tweet che il segretario Pd ha postato a strettissimo giro di posta rispetto al commento di Padoan. «I dati Istat smentiscono i gufi. Ma non basta dire che i mille giorni hanno rimesso in moto l'Italia: ora bisogna andare avanti». Tradotto: non mi basta l'onore delle armi per e il riconoscimento della mia quota di merito. Io vado avanti e voglio il governo.

La partita non è chiaramente tra due diversi stili di politica economica - in realtà tra l'esecutivo Renzi e quello Gentiloni è cambiato pochissimo - ma tra le due diverse prospettive di medio termine che sono emerse nei mesi estivi.

Il segretario Pd, che vorrebbe licenziare il governo appena varata la legge di Bilancio, quindi sciogliere le Camere a inizio gennaio per andare a elezioni in primavera. Poi, dentro la maggioranza, una fetta ampia di Pd che spinge invece per allungare i tempi e lasciare Gentiloni in carica fino a fine legislatura.

Se a fine anno il governo in carica dovesse mettere a segno un Pil a più 1,5%, diventerà più difficile per Renzi chiedere al premier Paolo Gentiloni un passo indietro. Si rafforzerebbe quell'asse che fa riferimento al ministro Dario Franceschini e al capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda. Quelli, insomma, del «c'è ancora molto da fare». Su questo fronte ieri si è fatto sentirei il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che ha appunto sottolineato come «rimane molto da fare per ritornare al periodo precrisi in termini di Pil e occupazione». Sottinteso: tocca a noi finire il lavoro.

Lo stesso premier Gentiloni ha commentato il più 1,5% del secondo trimestre 2017 come un risultato migliore rispetto alle previsioni e anche «una buona base per rilanciare economia e posti di lavoro». Un obiettivo da metà mandato insomma, non un risultato da rivendicare in un commiato da Palazzo Chigi.

Gentiloni per la verità non si è mai espresso sulla durata del suo governo. Ma non potrebbe tirarsi indietro se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dovesse chiedere i tempi supplementari e un impegno di Palazzo Chigi sulla legge elettorale. Materia che il premier fino ad oggi ha evitato con cura.

I dati sul Pil, un successo del governo in carica con relative ricadute nelle trattative con Bruxelles, rischiano di condizionare anche questo confronto. Renzi resta fermo sul premio di maggioranza al partito che ottiene più voti. Dentro la maggioranza, gli stessi che spingono per allungare la vita al mandato di Gentiloni vogliono che il Pd apra al premio di coalizione, che peraltro è sostenuto anche fuori dal centrosinistra, ad esempio da Forza Italia.

Gentiloni è sempre più popolare. Per contro, i sondaggi personali di Renzi non sono favorevoli. Con un Pil oltre le previsioni questa forbice potrebbe allargarsi e per il segretario Pd potrebbe diventare difficile restare arroccato su una proposta che è già debole.

Per staccare la spina al governo Gentiloni, insomma, potrebbe essere già troppo tardi.

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