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Renzi ordina di accelerare ma il Pd non lo segue sul voto

L'ex premier vuole subito una legge, il partito frena. La trappola interna nella commissione al Senato

Renzi ordina di accelerare ma il Pd non lo segue sul voto

Il tempo non è dalla parte di Matteo Renzi e neanche una bella fetta del suo partito. L'ex premier ha fretta. Non vuole trascinare l'attesa del voto sino a fine legislatura, ovvero nel lontanissimo 2018. Ogni giorno che passa il suo bel patrimonio di voti, i 13 milioni di sì al referendum costituzionale e quell'ormai distante 40 per cento del Pd alle europee, rischia di diventare soltanto un bel ricordo. A questo punto Mattarellum dall'impianto maggioritario o proporzionale per Renzi «pari sono» l'importante è che si voti entro giugno ma la partita è assai intricata. Anche perché l'attuale premier Paolo Gentiloni ha trovato una buona sintonia con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ed entrambi intendono procedere con calma per approdare ad una legge elettorale omogenea per le due Camere, condivisa con le diverse forze politiche e che rispetti la sentenza della Consulta sull'Italicum. Proprio ieri il presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi ha fissato l'udienza per il 24 gennaio. L'idea del segretario del Pd sostenuto dai suoi fedelissimi invece è quella di cominciare a lavorare subito per trovare un accordo sia con le altre forze politiche sia dentro il Pd dove molti non hanno fretta di correre alle urne. La speranza di Renzi e dei suoi è che si riesca a definire una traccia comune con un consenso il più ampio possibile prima della sentenza della Consulta con la prospettiva poi di apportare gli aggiustamenti necessari in tempi stretti. Insomma l'ex premier vorrebbe portarsi avanti con il lavoro ma la sua proposta non sembra raccogliere il consenso desiderato perché Forza Italia, che punta ad un proporzionale puro e non ha nessuna fretta, ritiene opportuno aspettare la sentenza della Corte.

Poi per Renzi c'è l'incognita più spinosa rappresentata da chi gli è ostile nel suo stesso partito. La prima mossa da centrare per Renzi è la nomina del nuovo presidente della commissione Affari Costituzionali al Senato dopo il passaggio di Anna Finocchiaro al ministero per i Rapporti col Parlamento. Proprio qui è stata calendarizzata la discussione sulla legge elettorale per fine gennaio. E proprio in questa commissione è presente una agguerrita componente della minoranza dem che ha rappresentato un spina nel fianco di Renzi lungo i mille giorni del suo governo, ovvero Miguel Gotor oltre Maurizio Migliavacca e Doris Lo Moro. Quest'ultima, capogruppo Pd in commissione, dovrebbe essere la candidata naturale alla presidenza ma Renzi preferirebbe di gran lunga vedere sullo scranno della presidenza Vannino Chiti, sgradito però alla minoranza. Sembra più difficile che si arrivi ad assegnare la presidenza ad un rappresentante di Forza Italia, circola il nome del senatore Lucio Malan, che potrebbe operò avere una utile funzione di ponte con l'opposizione. Ma anche ieri il senatore azzurro, Renato Schifani, ha ribadito che «Forza Italia responsabilmente attenderà di conoscere il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale» per evitare «la scrittura di regole sbagliate». Le posizioni attendiste irritano i renziani che attaccano i temporeggiatori dentro e fuori il Pd. Sì al confronto sulla legge elettorale dice il senatore Andrea Marcucci, ma «il Pd non può accettare che si faccia melina per prolungare la legislatura». L'accusa ancora una volta è quella di «usare strumentalmente questo tema per tenere in vita artificialmente la legislatura». E il senatore sollecita «gli altri partiti a fare la loro parte, anche per trasparenza nei confronti degli elettori».

La preferenza per il Mattarellum è ribadita da Marcucci «ma il tavolo di confronto serve proprio per verificare i numeri su altre soluzioni».

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