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Renzi resta ancora in silenzio E spera nel flop dell'inchiesta

Palazzo Chigi attende gli sviluppi giudiziari prima di ogni mossa. Tra i dem cresce il malumore. Orlando: non avrei sostenuto De Luca

Renzi resta ancora in silenzio  E spera nel flop dell'inchiesta

La linea di Matteo Renzi resta quella del wait and see. I magistrati della Procura di Roma che hanno in mano il caso De Luca promettono di definire la faccenda in tempi rapidi, e l'annuncio viene registrato positivamente in casa renziana: «Ancora non è chiaro di cosa in concreto sia accusato De Luca, e quindi è difficile dare una valutazione», nota il responsabile giustizia del Pd David Ermini. A palazzo Chigi si aspetta quindi chiarezza sui risvolti giudiziari prima di esprimersi, e la linea viene sintetizzata così: «I casi sono due: tra tre o quattro giorni o di questa cosa non se ne parlerà più, o si inizierà a parlarne sul serio». Tradotto: o lo scandalo mediatico si rivela una bolla di sapone giudiziaria, magari con l'ex braccio destro deluchiano Nello Mastursi come unico responsabile di eventuali illeciti; e allora Vincenzo De Luca resta saldo in sella e al massimo gli verrà chiesto «di mettere insieme uno staff più efficiente e presentabile», come dicono i renziani, ma potrà andare avanti. Oppure, se dalle carte emergesse un coinvolgimento diretto del governatore della Campania, il governo dovrà scendere in campo e la scomunica di De Luca sarà inevitabile, con tutte le - preoccupanti - ripercussioni del caso. Per il momento, però, dietro il ferreo riserbo trapela un timido ottimismo: «Vedrete, la cosa si sgonfierà», predice un dirigente parlamentare del Pd. Intanto si è bloccato il tentativo di sfiduciarlo al Consiglio regionale della Campania: per ora non ci sono i numeri, spiegano da Forza Italia, e «non vogliamo fargli un favore, facendoci bocciare la mozione per sfiduciarlo». Le opposizioni speravano di aprire un fronte nel Pd, contando sui nemici interni di De Luca, ma Bassolino ha bloccato i suoi consiglieri: ha una partita aperta con Renzi, l'ex governatore che ora vuole candidarsi a Napoli, e vuole il via libera di Roma per le primarie.Di certo però, dopo tanti scandali e scandaletti che hanno investito dirigenti locali o nazionali del Pd, tutti selezionati e arruolati nelle gestioni precedenti, il caso De Luca è il primo che investe un uomo sulla cui elezione è stato Renzi - prima nolente, poi volente - a mettere il timbro. Anche se, ricorda Ermini ai tanti soloni della minoranza Pd che ieri si sono buttati a pesce sulla vicenda per attaccare il premier, «dovrebbero ricordarsi che fino a qualche mese prima De Luca era con loro, e non è stato certo Matteo a sceglierlo: lo hanno scelto con le primarie, e una volta tanto con primarie senza contestazioni». Sta di fatto però che il fulmine a ciel sereno arrivato da Napoli ha innervosito non poco il presidente del Consiglio, che ieri ha declinato con palese irritazione le domande sul tema che i cronisti che lo hanno seguito a Malta tentavano di fargli: «E me lo chiedete qui?».Ma ieri sera è rientrato a Roma, e sa che prima o poi dovrà prendere la parola sul caso. Il Pd intanto ribolle: gli oppositori interni di Renzi non vedevano l'ora di avere un'arma da brandirgli contro. «Candidarlo è stato un grave errore di Renzi», sentenzia Miguel Gotor (che con De Luca ha un conto in sospeso da quando il governatore lo ha liquidato come «ballerino di tango»). «Con lui e Marino si sono usati due pesi e due misure», denuncia Gianni Cuperlo. Gli replica secco Matteo Orfini: «Sono due casi completamente diversi. La vicenda degli scontrini non era la ragione per cui chiedevano le dimissioni di Marino, era l'ultimo di una serie interminabile di errori». Ma anche dal governo si registra qualche presa di distanza: «In Campania io avrei sostenuto un altro candidato, ma De Luca ha vinto le primarie, perché portatore di buon governo», dice Andrea Orlando. E avverte che nel Pd, sul territorio, qualcosa non va: «Stiamo cambiando profondamente il Paese ma dobbiamo cambiare profondamente anche il partito, anche rivedendo alcune formule della vecchia organizzazione». Primarie incluse.

Poi però il ministro della Giustizia precisa che le sue valutazioni non vanno interpretate come un capitolo degli «scontri interni al Pd».

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