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Renzi si sveglia: «Interveniamo in Libia»

RomaSarà stata la vicinanza delle Piramidi o l'orgoglio ritrovato delle comuni radici - cosa che fa dire al premier Matteo Renzi quanto sia «importante, difficile, ma anche divertente, costruire il futuro in Paesi con un grande passato, come Italia ed Egitto» - ma la nostra strategia nei confronti di quanto accade in Libia forse è in procinto di cambiare verso, ancora una volta. Magari con una punta di leggerezza di troppo, considerata la situazione niente affatto divertente.

Accade al Forum di Sharm el Sheikh, organizzato per rilanciare le prospettive economiche della nazione che si trova in prima linea a fronteggiare la minaccia dell'Isis in Libia come in Siria. Così, davanti al presidente al Sisi, le parole di Renzi cercano di cogliere l'impellente richiesta d'aiuto. La priorità della comunità internazionale, dice, è quella di «intervenire in Libia prima che le milizie dell'Isis occupino in modo sistematico non solo piccoli e sporadici luoghi ma una parte del Paese». Un intervento che si preannuncia «significativo, a partire dagli sforzi diplomatici dell'Onu», sui quali il premier cerca di porre l'accento, in quanto «ci sono sensibilità diverse nella comunità internazionale» e la posizione più spiccatamente militare dell'Egitto non può essere accolta del tutto. Però, spiega Renzi, «non c'è nessun dubbio che occorra lottare con decisione contro il terrorismo, unire le forze per affrontarlo, perché non si tratta di uno scontro di civiltà ma di una lotta del mondo civilizzato contro pochi estremisti che non hanno nulla a che fare con la religione. La sfida dell'Egitto è la nostra sfida, la sua stabilità la nostra stabilità».

L'Italia, che secondo l'ex comandante delle forze Nato James Stavridis viene considerata dal Califfato il «ventre molle» dell'Europa, ha finora compiuto un giro di consultazioni con la Russia, la Francia e il Regno Unito. Nelle prossime settimane, annuncia Renzi, «avremo un approfondimento con gli Usa, il key player in questa partita». La Libia, insomma, «non può essere l'ultimo dossier, deve restare una priorità». Considerazioni tutto sommato ovvie, nel contesto in cui il premier si è trovato a pronunciarle, che si fondano per lo più sulle rinnovate promesse di collaborazione con il partner nordafricano. Il messaggio che la conferenza nel Sinai deve portare, dice il premier, è «che siamo forti, più forti di loro e più decisi a creare prosperità e pace». Ci si poggia dunque per lo più sulle relazioni economiche in un'area, quella del bacino del Mediterraneo, «che non è una frontiera ma il centro delle nostre civiltà, un ponte che presenta sfide e opportunità: Italia ed Egitto si trovano su due sponde di questo ponte e sono custodi di uno spazio unico», nel quale il governo italiano «apprezza la leadership e la saggezza di al Sisi nell'affrontare la situazione attuale, in particolare per quel che riguarda la Libia». Così Renzi non si è presentato al summit del tutto a mani vuote, confermando l'intenzione di rafforzare «sia in termini quantitativi che qualitativi» la presenza delle nostre imprese «nei settori dell'energia, dei trasporti, nel petrolchimico e nel sistema bancario».

Sul resto, si deciderà solo quando (e come) decideranno i Grandi.

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