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Renzi torna, si autoassolve e allontana il voto anticipato

Zero autocritica su referendum, banche e Giglio magico Il Pd non gli crede e lui cerca sponde per la legge elettorale

Renzi torna, si autoassolve e allontana il voto anticipato

Al quarantesimo giorno ha battuto un colpo. Forse il primo di una nuova, strana campagna elettorale che si gioca sul filo dei nervi, delle convenienze, dei tartufismi. Il primo dei quali, Monsieur le Tartuffe de Rignanò, lo butta lì con nonchalance: «Votare? Mi è assolutamente indifferente. Non ho fretta».

Ma siccome Matteo Renzi - del quale come del protagonista della commedia tragica di Molière si può dire che è un uomo di gran senno, lo dobbiamo ascoltare - converrà capire bene il peso reale delle due fitte pagine di intervista rilasciata all'ex direttore di Repubblica, Ezio Mauro. Un ritorno in campo necessario, prima di precipitare nel baratro depressivo, che denota un cambio del profilo di comunicazione. Non più tv e rapporto diretto col pubblico, effetto-simpatia totalmente contraddetto dal risultato referendario, bensì mediato e apparentemente più profondo. Lo slogan lo lancia lui, riducendo Mauro a una presentatrice tivù: «Se cerca uno slogan ne ho uno migliore: meno slide, più cuore». A conti fatti, sembra proprio questo a bruciare di più all'uomo-Matteo, della sconfitta. «Brucia, eccome se brucia. Tanto che il vero dubbio è stato se continuare o lasciare», dice. Ma poi: «ho pensato che solo il vigliacco scappa nei momenti di difficoltà». Il bugiardo no, e la promessa di tornarsene a casa è bella che elusa in un batter d'ali. Da questo momento in avanti, siamo alle prime battute, riemerge il Pinocchio che si ricorda, non un acca di meno né una di più.

Renzi, però, politicamente non si sente affatto bocciato dagli italiani, 59 a 41, e il resto delle sue mezze-verità, balle e superballe, lo dimostrano. Autocritica zero. Quel che ha fatto nei mille giorni è stato il meglio che si potesse, nomine Rai comprese, riforme incluse. Peccato non averlo saputo propagandare meglio (e come?). Clemente con ciascuno degli scandali nei quali il governo è incappato, l'ex premier riesce a «rivendicare» inciuci con il potere economico e a sostenere di «non vedere l'ora che parta la commissione d'inchiesta per fare chiarezza sulle vere responsabilità» negli affari bancari, Mps ed Etruria in primis. Spingere a investire sui titoli Mps è stato giusto. L'affaire di papà Boschi in Etruria è costato «molto», ammette, «ma abbiamo fatto tutto quello che andava fatto». E sull'inchiesta che lo tira in ballo, per via del Giglio magico, il leader pidì sfugge e diventa liquido: «Sono sicuro di Lotti, bene le indagini, ma facciano in fretta, attendo sentenze». Degli affari di «papà Tiziano Renzi» con il settore pubblico mai sentito parlare: «Non mi risultano». Ma allora, queste calate di piombo tipografico dove vanno a parare? Di sicuro nella voglia di rivincita (o vendetta, si vedrà), che passa attraverso un ciclone che si abbatterà sul Pd, senza congresso: «Ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno». La sinistra dem è avvisata, tanto che la minoranza Pd non perde tempo a replicare. «Non ha capito la lezione, sembra ancora Fonzie», la butta lì il bersaniano Miguel Gotor.

Renzi rivendica poi il coltello dalla parte del manico e fa mezze aperture sulla legge elettorale. Va bene «il ballottaggio o se no il Mattarellum», dice lasciando ampi spazio di interpretazione e, di fatto, aprendo la trattativa sulla nuova legge elettorale che entrerà nel vivo dopo la sentenza della Consulta. Intanto attacca il M5s, «un algoritmo, non un partito». Quello è l'unico nemico, il resto si deciderà strada facendo. Mentre Matteo, sereno, si dedica al nuovo superattivismo: «Rifletto, leggo, sto in famiglia. Uso occhi e orecchie più che la bocca».

Fosse vero.

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