Quirinale 2015

Renzi vota scheda bianca e intanto recluta 10 grillini

Il premier propone al Pd tre turni a vuoto: «Non proporrò una rosa, sabato il nome secco» La stilettata contro i talk show: "Una sera davanti alla tv e capisci perché sono in crisi"

Renzi vota scheda bianca e intanto recluta 10 grillini

Roma«Quel che è certo è che fregare Matteo Renzi sarà molto dura», ammetteva ieri (un filo sconsolato) un esponente della minoranza Pd. La settimana decisiva per il Quirinale si è aperta con il premier che ha riunito i suoi parlamentari, prima alla Camera e poi al Senato, e non ha lasciato trapelare nulla dei suoi reali intendimenti. Salvo un chiarimento di metodo: nei primi tre scrutini col quorum dei due terzi (giovedì e venerdì) il Pd voterà scheda bianca. Sabato invece calerà il suo nome. E nelle consultazioni con gli altri partiti, che ufficialmente si aprono oggi, non proporrà nessuna «rosa»: un nome secco. «Così nessuno potrà rimproverargli di aver fatto scegliere il nome da Berlusconi», spiega il renziano David Ermini.

Con i suoi, minoranza inclusa, il premier è stato soave e suadente: «L'elezione del capo dello Stato – ha spiegato - non è un referendum né sul governo né su di me e va tenuta separata dalle riforme o dalla legge elettorale. La figuraccia del 2013 è nel curriculum vitae di tutti. Oggi abbiamo una occasione di riscatto, un passaggio fondamentale sulla credibilità del Pd». Aggiungendo poi, forse con un filo di sottile ironia: «Non scommetto sulla vostra fedeltà ma sulla vostra intelligenza». Anzi, di più: davanti ai senatori rincara la dose: «Non faccio l'elogio del franco tiratore ma, vi stupirò, difendo il diritto di dissenso sul nome del presidente della Repubblica». Riuscendo così a rigirare a suo vantaggio anche il precedente del suo no a Franco Marini, nel 2013, che molti frondisti erano pronti a rinfacciargli. A chi gli chiede se punterà su una donna, replica che la questione «non è dirimente». Una cosa però dev'essere chiara: «Il presidente non si fa “contro” nessuno. Neanche contro il Nazareno». Replica subito il capo dei dissidenti del Senato, il bersaniano Miguel Gotor: «Se Matteo Renzi pensa di partire dal patto del Nazareno e non da noi del Pd, sbaglierà. E se il nome fatto non sarà autonomo e autorevole, noi lo avverseremo alla luce del sole». Ma la minoranza perde pezzi, al Senato sulla legge elettorale i voti pro-Italicum aumentano anziché diminuire e la tattica renziana riduce le possibilità di giochi alle sue spalle da parte della minoranza. Intanto dieci ex grillini annunciano alla Camera l'addio al Movimento del comico, pronti ad entrare in gioco per le votazioni quirinalizie. Il premier sta consultando privatamente molti parlamentari, chiedendo opinioni e proposte, ma nessuno di loro riesce a capire cosa effettivamente abbia in testa. C'è chi è convinto che voglia giocare la carta del «tecnico», e puntare su Pier Carlo Padoan, per poi mettere un politico a lui vicino al ministero dell'Economia. E c'è chi è sicuro che punti su un politico a tutto tondo, uno «capace di resistere agli stress test» come ha detto all'assemblea dei parlamentari, e che la notizia lasciata trapelare – pare – da Palazzo Chigi di un veto berlusconiano su Sergio Mattarella serva proprio a compattare il Pd sul nome dell'ex ministro democristiano, ripulito dall'ombra del Nazareno. Giochi e contro giochi.

I parlamentari Pd, nel frattempo, sono divisi su decine di candidati diversi: per capirlo bastava sentire ieri gli interventi in assemblea e notare presenze e assenze: Dario Franceschini, per dire, non si è fatto vedere; Cesare Damiano ha chiesto un candidato di «alto profilo» e tutti hanno pensato alla statura di Piero Fassino, il veltroniano Martella evoca «un politico di cambiamento e di rinnovamento generazionale». Quelli che sperano nella nomination renziana oppure nel caos che – dopo la quarta votazione - li faccia emergere come outsider di emergenza sono tanti. Sabato si inizierà a capire con che fondamento.

E a tarda sera lo sfogo del premier su Twitter: «Trame, segreti, finti scoop, balle spaziali e retropensieri: basta una sera alla tv e finalmente capisci la crisi dei talk show in Italia».

Il premier si riferiva ai sospetti lanciati a Piazzapulita sulle manovre per scegliere il candidato al Colle.

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