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La resa di Casson, s'infrange l'onda giustizialista

Nuovo fallimento nel salto dalla magistratura alla politica: la toga non incanta più

La resa di Casson, s'infrange l'onda giustizialista

Venezia - Non è il primo, è stato preceduto da Antonio Ingroia, il pm che partì per fucilare e finì fucilato. Felice Casson è dunque la conferma che il vento sta girando per i magistrati attratti dalla politica. La toga benché deposta non attizza più il popolo, non è più sinonimo di pulizia, legalità, buon governo. È un marchio svalutato, una moneta fuori corso.

Casson, chioggiotto, ha sempre coltivato il sogno di governare Venezia. Si era già candidato una volta contro Massimo Cacciari, costringendo l'allora segretario ds Piero Fassino a una serie di forzature regolamentari. Gli era andata malissimo. Il magistrato figlio di un pescatore contro il pensatore adorato nei salotti buoni, meglio se dotati di telecamera per le dirette tv. Al ballottaggio la filosofia batté il diritto per un soffio, 1.300 voti. Casson fu indennizzato con un seggio da senatore a Roma.

La pattuglia dei giudici trapiantati in politica è fitta, a destra come soprattutto a sinistra. L'epigono più recente di questa schiatta è il presidente del Senato, Pietro Grasso, catapultato alla seconda carica dello Stato direttamente dalla poltrona di procuratore nazionale antimafia. Ma non dimentichiamo Luciano Violante e Anna Finocchiaro, Antonio Di Pietro e Giuseppe Ayala, Stefano D'Ambruoso e Gianrico Carofiglio, Francesco Nitto Palma e Alfredo Mantovano, e prima di loro Oscar Luigi Scalfaro e Gerardo D'Ambrosio.

Le porte girevoli funzionano anche nelle amministrazioni locali, proprio dove voleva tornare Casson seguendo gli esempi di Adriano Sansa, che fu primo cittadino di Genova (ripresa la toga, ora è presidente del Tribunale per i minorenni), di Michele Emiliano (ieri Bari, oggi la Puglia, domani chissà), di Luigi De Magistris a Napoli. Le aule di giustizia sono un ottimo trampolino per il grande tuffo in politica, anche perché la magistratura non dimentica mai i suoi rappresentanti. Casson lo sa bene perché nel 2009, dopo quattro anni da fuori ruolo - lontanissimo da aule e faldoni -, ottenne dal Csm la promozione a magistrato di Cassazione.

Niente di meglio che sfruttare questa scia così promettente, deve aver pensato l'ex pm d'assalto che s'imbatté in Gladio indagando sulla strage di Peteano, successivamente mise sotto accusa i manager di Montedison, Enichem ed Edison per i morti al Petrolchimico di Marghera, e poi indagò anche il sindaco Cacciari (prosciolto) per il rogo del teatro La Fenice. Casson era convinto che i veneziani non desiderassero altro che piazzare un ex magistrato al timone della Serenissima squassata dalle indagini sul Mose.

Ma la toga non incanta più gli elettori. Dopo anni di travasi, i magistrati convertiti alla politica sono una garanzia rimasta sulla carta, una medicina scaduta. Che cos'hanno cambiato? Dove hanno inciso nelle leggi e nei comportamenti? La delusione dell'antipolitica investe anche loro. Dopo Ingroia, il segnale che arriva dalle urne è chiaro proprio mentre i sindaci riempiono le giunte di assessori alla Legalità provenienti dalle aule di giustizia (come Marino a Roma con Alfonso Sabella) e il premier prende l'ex pm anticamorra Raffaele Cantone come sbrogliamatasse.

Anche l'elezione di Vincenzo De Luca in Campania va in questa direzione: la commissione parlamentare Antimafia dice che è un «impresentabile» ma gli elettori di sinistra alzano le spalle. Assomiglia al destino che ha travolto molti ambientalisti: troppo allarmismo ha finito per infastidire la gente.

E troppi appelli a una legalità da corteo portano sfortuna a quelli come Felice Casson.

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