Politica

La resa dei due vicepremier: "Siamo nelle mani di Conte"

Di Maio e Salvini costretti a legittimare pubblicamente il premier nella speranza che riesca a ricucire con l'Ue

La resa dei due vicepremier: "Siamo nelle mani di Conte"

A rivederla oggi, la foto del balcone di Palazzo Chigi con Gigino Di Maio e i compari di governo che, a fine settembre, esultavano per la «manovra del popolo» e il deficit al 2,4% fa sbellicare dalle risate.

Risate amare, però: poco più di due mesi dopo, l'economia italiana è avviata alla recessione e il governo è nel caos, costretto ad una totale retromarcia e a una precipitosa corsa contro il tempo. I dioscuri Di Maio e Salvini cercano ancora di mascherare il dietrofront, e così ieri sera hanno emesso un bizzarro comunicato congiunto che, dietro i toni trionfali, concede al premier Conte - liricamente elogiato per le sue «competenze e capacità» - il mandato a trattare la resa. Ma lo avverte che, in quanto «garante del contratto di governo», non dovrà accettare «rinunce» sulle bandiere dei due partiti di governo, ossia reddito di cittadinanza e controriforma pensionistica, su cui si fonda il loro «patto con gli italiani».

Ma che sia, più che altro, un tentativo di salvare la faccia lo confermano anche da Palazzo Chigi, dove ieri si affannavano a spiegare che quel niet alle rinunce era poco più di un pro forma, e non certo un altolà a Conte cui va tutto il «sostegno» dei vicepremier nella trattativa con l'Unione europea. «Con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte il nostro Paese riesce sempre ad affermare le proprie posizioni e priorità, a testa alta e con determinazione», scrivono i due. Il premier, continuano, «si sta dimostrando il garante ideale per la nostra interlocuzione con l'Europa e vogliamo ringraziarlo perché porta avanti con grande determinazione lo spirito del contratto di governo spiegando in maniera encomiabile la dirompente portata delle scelte per il cambiamento». Poi il passaggio che ieri lo staff comunicativo del governo si affannava a sminuire, con l'apertura «a un dialogo franco e rispettoso con le istituzioni europee» ma «senza rinunce».

La verità è che per i due azionisti di maggioranza del governo, il premier per caso Conte è rimasto l'ultimo canale possibile col resto del mondo: bruciati Tria e Moavero, più volte delegittimati dai vicepremier, è il solo nel governo ad avere rapporti oltre il raccordo anulare di Roma e a non aver coperto di improperi interlocutori ora essenziali in Ue per evitare nuovi disastri. Salvini e Di Maio devono dunque arretrare e mandare avanti lui. Sono entrambi in difficoltà: Di Maio è indebolito, anche nel suo partito, dai disastri comunicativi e di governo inanellati e dalle imbarazzanti vicende familiari. Salvini è incalzato dalla pressione sempre più allarmata del Nord produttivo.

Nel frattempo, la marcia trionfale della «manovra del popolo» diventa una disperata corsa contro il tempo: va approvata entro il 19 dicembre, quando si terrà la cruciale riunione Ecofin che potrebbe avviare la procedura di infrazione. Per il momento, però, il testo è nel caos e la Commissione bilancio di Montecitorio è stata paralizzata fino a ieri sera in attesa che la maggioranza riuscisse a partorire qualcosa. Probabilmente la manovra arriverà in aula senza relatore e con un testo farlocco, che verrà votato con la fiducia tra martedì e mercoledì per poi andare in Senato. Solo lì, se ci riusciranno, verrà presentato e sottoposto a fiducia (prima a Palazzo Madama e poi di nuovo a Montecitorio) il maxi-emendamento destinato a riscrivere saldi e capitoli di spesa, inclusi probabilmente reddito di cittadinanza e quota 100, si vedrà di quanto svuotati e certamente rinviati a maggio.

Ma il braccio di ferro su chi deve arretrare di più e restringere maggiormente la platea dei destinatari è in pieno corso, e resta al centro dei vertici formali e informali di governo che si susseguono notte e giorno.

Commenti