Economia

Resta alta la febbre da spread E Moody's declassa l'Italia

Bankitalia: da maggio venduti titoli italiani per oltre 65 miliardi. In arrivo i verdetti delle altre agenzie di rating

Non ci libereremo presto dall'ossessione dello spread, ma nel frattempo ne è arrivata un'altra ancora peggiore: il giudizio delle agenzie finanziarie di rating di tutto i mondo. Moody's ha tagliato il rating dell'Italia a Baa3 (da Baa2) con outlook stabile. Ad annunciarlo Moody's in una nota, spiegando che l'esame della situazione del Paese era iniziato il 25 maggio, due mesi e mezzo dopo le elezioni. La decisione, spiegano da Moody's, è legata a un «cambio concreto della strategia di bilancio, con un deficit significativamente più elevato». Inoltre, gli analisti di Moody's ritengono che «lo stimolo fiscale» contenuto nella manovra «fornirà un impulso alla crescita più limitato rispetto a quanto ipotizza il governo». In sostanza, l'agenzia di rating si aspetta che il Pil torni a un livello attorno all'1%.

Un altro colpo, che si affianca allo spread. In maggio, quando il differenziale di rendimento tra Btp e Bund era attorno ai 120 punti, quasi ce n'eravamo dimenticati. Adesso che veleggia sopra quota 300, con puntate oltre i 340 punti come capitato ieri prima della chiusura a 315, ce lo portiamo addosso come un cilicio.

I mercati ci stanno da giorni dicendo che se il duo Salvini&Di Maio accoglierà i desiderata di Bruxelles sulla manovra, le cose si aggiusteranno. Difficile che vada così. Le cifre diffuse ieri da Bankitalia fotografano una diserzione di massa dai nostri titoli, soprattutto quelli col bollino pubblico. Nei primi otto mesi i disinvestimenti sono stati pari a 42,8 miliardi, di cui 24,9 miliardi di bond statali e 12,4 miliardi di obbligazioni bancarie. Tra maggio e giugno, in occasione dell'insediamento del nuovo governo gialloverde, il sell off di Btp era stato massiccio, pari a 58 miliardi. Poi, una schiarita in luglio (attivo di oltre 8 miliardi) subito cancellata da una nuova fuga degli investitori esteri (vendite per 17,8 miliardi).

La mazzata finale è arrivata proprio dalle agenzie di rating. Dopo Moody's, toccherà a Standard&Poor's, venerdì prossimo. Per l'Italia si prospetta un casqué. Dai segnali che arrivano dalle sale operative, l'impressione è che S&P manterrà la tripla B sull'Italia, ma abbassando l'outlook da stabile a negativo. Ciò significa una possibile bocciatura alla prossima revisione. Fitch ieri ha ricordato come un eventuale downgrade del nostro Paese avrebbe immediate ricadute anche sul rating di banche come Intesa SanPaolo, UniCredit, Credem, Mediobanca e Bnl. D'altra parte, Fitch mette in chiaro la stretta correlazione tra l'andamento dello spread e gli istituti di credito, su cui pende la minaccia di aumenti di capitale che potrebbero rendersi necessari a fronte della svalutazione dei titoli di Stato che hanno in pancia.

Ma lo scenario più avverso, un declassamento di due gradini che farebbe scivolare il rating sovrano dell'Italia a livello junk (spazzatura), avrebbe conseguenze ancora più drammatiche in termini di esodo di capitali stranieri dai nostri titoli di Stato. Goldman Sachs ha stimato un fuori-tutti da 100 miliardi, facendo il calcolo sui fondi che sarebbero di fatto costretti, in base al regolamento interno che contempla nel portafoglio solo attività investment grade (quelle di maggiore affidabilità), a vendere carta tricolore in caso di doppio downgrade. Inoltre, sempre agli stessi soggetti sarebbe impedito l'acquisto delle nuove emissioni del Tesoro.

Un disastro.

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