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Riad, Doha e Teheran. Così Trump ha sfidato il triangolo del terrore

Lo stop al Qatar uno schiaffo a gruppi jihadisti. Ma l'attentato alimenta il caos in tutta l'area

Riad, Doha e Teheran. Così Trump ha sfidato il triangolo del terrore

L'Iran oltre che ferito è stupefatto: la durezza estrema delle Guardie Rivoluzionarie, la severità terribile degli Ayatollah, e nemmeno lo spirito di Khomeini dalla tomba colpita anch'essa dall'attacco di ieri niente hanno potuto contro il grande attacco simbolico, sprezzante attacco terroristico al parlamento di Teheran. Gli uomini dell'Isis sono riusciti a salire fino al quarto e al quinto piano vestiti da donna e con i mitra: le loro urla in arabo classico che spiegavano urlando il perché dell'attacco, contro le grida di spavento in parsi accompagnavano addirittura un video autoprodotto «live», in cui si impossessano sparando di stanze e corridoi, mentre gli impiegati cercavano di scappare disperati. L'attacco sunnita contro l'Iran sciita si è probabilmente servito di emissari interni: l'Iran è sciita solo all'80 per cento, gli altri sono sunniti, balusci, curdi che odiano il regime. L'Isis è parte del nuovo gioco: l'Iran fiancheggia Assad con determinazione e vasto dispiegamento di mezzi e di forze della Guardia Rivoluzionaria per batterlo, rifornisce i suoi scherani Hezbollah, la Russia comanda con le armi, la presenza, i droni e i bombardamenti. L'unico Paese che ha subito dichiarato il suo cordoglio per l'attentato è stata la Russia e dopo il Pakistan; la Francia si è accodata, ma gli altri Paesi occidentali sono stati brevi e scarsi. L'Iran combatte per un assassino genocida, viola tutti i diritti umani, è in odore di nucleare ed è uno dei principali sponsor del terrorismo. Aveva persino un accordo con Al qaeda che l'ha preservato da attacchi, lo stesso fino ad oggi con Hamas benché ambedue siano sunniti.

L'attacco si inserisce in un quadro e in una prospettiva caotica: quella di un Medio Oriente rivoluzionato dall'incontro di Trump con 25 stati arabi in cui si è dichiarato una comune guerra al terrorismo, intendendo con questo non soltanto il terrorismo dell'Isis, ma anche l'instabilità indotta dall'imperialismo iraniano, le mire della Fratellanza Musulmana, che è poi la grande madre ideologica per cui il Qatar spende i suoi fondi miliardari. Non a caso il governo di Trump sta pianificando la messa all'indice delle organizzazioni terroriste sia Hamas che gli hezbollah che la Fratellanza che anche la Guardia Rivoluzionaria iraniana.

Dall'Iran e anche da parte dei suoi amici siriani si è levata un'accusa a misteriosi mandanti subito identificati come i sauditi, gli americani, Israele. L'Iran qui indica, al di là dell'Isis, le sue vere difficoltà, e pericolosamente punta il dito contro il suo nemico storico sunnita. Dopo questo attentato, pur perpetrato dall'Isis, la parte sunnita e quella sciita entrano in un conflitto ancora più diretto che potrebbe portare persino a una guerra. L'Isis: è in difficoltà, l'ultimo attacco a Raqqa lo testimonia, e quindi la sua impossibilità di un contrattacco sul terreno la porta a cercarlo sia nelle capitali occidentali, contro il nemico ideologico, sia in Iran che combatte contro i suoi uomini. L'Iran dunque reagirà, impiegherà sempre più forza contro l'Isis, ma altrettanto faranno i suoi nemici. La storia quindi qui continua. Ma soprattutto continua sul grande palcoscenico mediorentale: con lo stop al Qatar di lunedì scorso, oltre alla Fratellanza Musulmana prendono una sventola storica anche l'Iran, tutte le milizie shiite, Hamas, i Hezbollah, basta pensare che il Qatar aveva appena consegnato un miliardo di dollari a queste forze e anche al succedaneo di Al Qaeda Tahr al Shan poche settimane or sono a causa di un ricatto familiare. Adesso le forze della stabilità cioè Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Golfo, e anche Israele sono molto più forti, mentre l'Iran perde su tutti i fronti. Se vuole rimettersi in pista adesso deve fare fuoco e fiamme, uccidere, punire, espandersi. Come è sua abitudine.

Ci si può aspettare che lo faccia.

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