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La ricetta? Fare il contrario dei gialloverdi

La ricetta? Fare il contrario dei gialloverdi

La recessione non è una fatalità: non assomiglia al solleone d'agosto o alla neve dei mesi più freddi. E davvero è assurdo che ci sia chi si sorprende dinanzi ai dati negativi della nostra economia, dal momento che c'è un legame diretto tra questi mesi di governo gialloverde e la crisi ormai conclamata. D'altra parte, un esecutivo che ormai controlla con le tasse e con la regolazione più del 50% dell'economia italiana e passa giorni e giorni a discutere di una cinquantina di africani può davvero stupirsi se l'economia va di male in peggio? No di certo.

La dimostrazione che siamo messi male e non sappiamo come curarci sta nel fatto che, per provare a reagire, il governo guidato da Luigi Di Maio e da Matteo Salvini non immagini altro che ulteriore spesa pubblica. Per uscire dallo stallo il governo non pensa a una riduzione della presenza dello Stato, ma invece sta orientandosi verso più spesa. L'idea è che si possa tornare a crescere solo grazie a un aumento dei consumi, soprattutto se indotto dai poteri pubblici. Da qui l'enfasi sulle grandi opere e sugli investimenti: e non perché strade o ponti possano essere utili in quanto tali, ma solo come occasione per redistribuire le risorse.

Non si è capito, insomma, che è il sistema produttivo stesso a essere in difficoltà. Secondo uno studio di Confindustria, mentre nel 2018 gli investimenti in beni strumentali erano cresciuti del 5,8%, nel 2019 caleranno dello 0,3% e l'anno seguente del 2,1%. Una politica statalista, alla fine, produce sfiducia e spegne ogni voglia di fare. Ne deriva un ulteriore aumento della mano pubblica a scapito di quella privata: un ampliamento dello Stato a danno di tutti noi, delle nostre attività, dei nostri risparmi.

Non è così che l'economia ripartirà. Per questo motivo sarebbe necessario fare l'opposto di quello che sta facendo il governo. Non bisognerebbe aumentare la pressione fiscale complessiva, ma invece ridurla; non si dovrebbero annunciare nuovi piani di assunzioni nei ministeri, ma invece bloccare i concorsi e in tanti casi ridurre gli organici; non si dovrebbe impedire alle imprese di fare contratti (si pensi al caso dei «riders») e lavorare (come nel caso dei negozi durante le festività), ma si dovrebbe favorire la libera iniziativa; non ci si dovrebbe chiudere, ma andrebbe colta ogni opportunità che offre la globalizzazione.

Nell'ultima campagna elettorale la Lega aveva parlato di «flat tax» (in sostanza, di meno tasse) e di una valorizzazione delle autonomie locali, che vanno chiamate a gestire le entrate e le uscite. Sia il primo tema sia il secondo sono finiti ai margini della discussione, dominata dalla riforma della Fornero, dalla lotta all'immigrazione e - soprattutto - dall'elaborazione di un nuovo assistenzialismo che promette di eliminare la povertà.

Andando avanti lungo questa strada, la parola «recessione» rischia di essere associata all'Italia come già lo sono i termini «mafia», «moda», «lirica» e «spaghetti».

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