Politica

Il richiamo di Draghi: "Con troppi debiti addio alla sovranità"

Nei Paesi più esposti «decidono i mercati» L'Italia frena, ma presto per manovra-bis

Il richiamo di Draghi: "Con troppi debiti addio alla sovranità"

L'Italia non ha più sovranità, ma non per colpa dell'euro o per gli stretti vincoli di bilancio cui è tenuta a sottostare, ma a causa dell'elevato indebitamento. In tempi duri come questi, in cui la durezza alimenta tenerezze nostalgiche da lira in tasca, arriva da Mario Draghi il siluro ai sovranisti: «Un Paese perde sovranità quando ha un debito troppo elevato», ha spiegato ieri davanti all'Europarlamento il presidente della Bce. Messaggio chiaro, diretto a un Paese come il nostro dove l'economia «cresce meno delle altre, significativamente meno, e il rallentamento è più marcato», anche se «è troppo presto per dire se sarà necessaria una correzione di bilancio», ovvero una manovra-bis. Eppure, nonostante l'accordo tra governo e Bruxelles sul bilancio 2019 sia stato «un evento positivo» con gli «spread che si sono un po' ristretti», la forte esposizione resta un vulnus che fa sì che siano «i mercati a decidere», al punto che ogni mossa fatta «deve essere scrutinata dai mercati, cioè da persone che non votano e che sono fuori dal processo di controllo democratico».

Insomma, abbiamo margini di manovra già risicati e a rischio di ridursi ulteriormente dalle «scelte politiche sbagliate», le stesse che hanno determinato l'esplosione del debito. Rispetto agli anni precedenti la Grande recessione, la vulnerabilità è vieppiù cresciuta perché «i titoli sovrani sono rischiosi, non lo erano fino alla crisi, da allora lo sono, e questo è un problema che va affrontato soprattutto per le banche più grandi». Sulle ultime mosse della vigilanza bancaria relativamente alla copertura delle sofferenze degli istituti italiani, Draghi si è limitato a indicare che «si tratta di trovare il giusto equilibrio» e che l'approccio della vigilanza non è quello di «distruggere il sistema bancario, non vogliamo un rimedio peggiore del malè». Tornando al nodo del debito pubblico, Draghi ha insistito su un punto: per abbatterlo non è sufficiente solo una maggiore crescita indotta da politiche espansive, come è negli intenti del governo giallo-verde. Occorre invece, spiega il numero uno dell'Eurotower, che oltre all'ingrediente della crescita ci sia anche quello delle riforme strutturali. Sono quest'ultime, assicura, che dando vigore al ciclo vanno a impattare anche sul debito, «non le politiche di bilancio particolarmente severe».

Draghi abbatte quindi il luogo comune in base al quale l'abbandono dell'euro, allo scopo di riabbracciare la valuta nazionale, garantisca un recupero di sovranità. Lo fa con una lezioncina di storia recente, ricordando che «fino al trattato di Maastricht molti Paesi non avevano nessuna sovranità» in politica monetaria, eccetto la Germania. Una condizione di soggezione che implicava due possibili scelte: «agganciarsi al marco tedesco», o «svalutare a ripetizione, che significa non avere nessuna sovranità». La moneta unica ha invece permesso «di esercitare meglio un'influenza globale» in un'economia mondiale fortemente interconnessa», grazie al fatto che l'euro, in 20 anni, è diventato «la seconda valuta più importante del sistema monetario internazionale», ha garantito stabilità dei prezzi e occupazione: «Oggi nei 19 Paesi che attualmente costituiscono l'area dell'euro ci sono 20 milioni di europei in più che lavorano rispetto a 20 anni fa». L'Unione monetaria è però ancora un cantiere. Serve, ricorda Draghi, completare l'unione dei mercati dei capitali e l'unione bancaria ed avere un mercato finanziario ampio e integrato». Ma serve anche che l'Unione europea dia una risposta comune alla prossima crisi, non alle porte («Bassa probabilità di recessione») ma che prima o poi arriverà.

La Bce non potrà farsene carico da sola.

Commenti