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Da riciclato al riciclaggio. Adesso Fini è indagato

Sequestrati 5 milioni ai Tulliani. I pm: lui il tramite con Corallo. Sconfessato sulla cucina finita nel Principato

Da riciclato al riciclaggio. Adesso Fini è indagato

Dal tentativo di riciclarsi in politica all'accusa di riciclaggio formulata dalla Procura di Roma. Per l'ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, quella di ieri non è stata una bella giornata. Gli è stato, infatti, recapitato un avviso di garanzia per concorso in riciclaggio («Un atto dovuto», ha commentato lui) nell'ambito dell'inchiesta che la Direzione antimafia della Capitale, con la collaborazione della Finanza, sta conducendo sulla concessionaria di giochi (slot machine e casinò ai Caraibi) Atlantis/Bplus di Francesco Corallo.

LA CASA DI MONTECARLO

Occorre ribadirlo. Il Giornale non era «la macchina del fango». Nell'ordinanza del gip recapitata ieri si legge anche «che Tulliani Elisabetta, con email datata 17 novembre 2009, comunica all'architetto Massimo Pelliccioni il numero di fax del mobilificio Castellucci al quale inviare la composizione della cucina per eventuali modifiche». È il mobilificio presso il quale Fini negò di essersi recato definendo quello del Giornale un «delirio diffamatorio». I nostri lettori lo sanno da sette anni: la casa di Montecarlo era dei Tullianos.

IL FATTO

L'oggetto dell'indagine è l'associazione per delinquere transnazionale che riciclava in tutto il mondo i proventi del mancato pagamento delle imposte da parte delle società di Corallo, stimati in circa 200 milioni. Lo Scico della Finanza ieri mattina ha eseguito un decreto di sequestro preventivo, autorizzato dal gip su richiesta della Procura di Roma, di proprietà riconducibili a tre familiari di Fini: la moglie Elisabetta Tulliani, suo fratello Giancarlo e il padre Sergio. Essi sono accusati di riciclaggio e reimpiego di capitali illeciti a favore di Corallo e di autoriciclaggio nel proprio interesse: reati commessi a partire dal 2008, secondo l'accusa, per un valore di oltre cinque milioni di euro. I profitti illeciti ipotizzati dai magistrati di Roma superano i sette milioni di euro.

IL RUOLO DI FINI

«Sono stato un coglione, non un corrotto», aveva dichiarato l'ex leader di An al Fatto nello scorso dicembre, allorquando si seppe che la famigerata casa di Montecarlo era transitata, a dispetto delle smentite nei confronti dell'inchiesta del Giornale effettivamente nelle disponibilità dei suoi «familiari». L'avviso di garanzia fa pensare che i magistrati siano di diverso parere giacché nella richiesta del pm Barbara Sargenti al gip Simonetta D'Alessandro è scritto che «è accertato che i Tulliani abbiano ricevuto ingenti trasferimenti su conti personali e su conti di società off shore a loro riconducibili per un lasso di tempo apprezzabile, avendo instaurato rapporti di conoscenza e di frequentazione con Corallo, per il tramite dell'onorevole Gianfranco Fini, vice presidente del Consiglio (tra il 2001 e il 2006), e Presidente della Camera dei Deputati (tra il 2008 e il 2013)». L'imprenditore, sempre secondo la Procura, non avrebbe avuto utilità a entrare in affari con sconosciuti come i Tulliani se non vi avesse avuto una precisa motivazione. Che i magistrati individuano nel «più inquietante dei riciclaggi strettamente correlato al condizionamento per fini privati di una funzione primaria dello Stato».

IL RACCONTO DI LABOCCETTA

Insomma, Gianfranco non può autodefinirsi un «coglione» poiché, secondo i magistrati, si potrebbe discutere di «colorazione corruttiva» in riferimento al decreto del 2009 che agevolava il settore delle slot. «Ciò, a tacer d'altro, per ragioni di prescrizione», prosegue l'ordinanza. La tesi della Procura è che «Sergio Tulliani, impiegato dell'Enel in pensione, sia poco credibile come lobbista». Ironia della sorte a «inguaiare» Fini è stato un suo ex fedelissimo, l'ex deputato Amedeo Laboccetta dichiarando ai pm che «Gianfranco Fini aveva conosciuto Francesco Corallo proprio per il suo tramite in occasione di un viaggio vacanza, nell'estate del 2004, sull'isola di Saint Martin ove Fini ed altre 14 persone vennero ospitati, a spese di Corallo, per due settimane». E proprio al termine del viaggio-vacanza, ha raccontato Laboccetta, «Fini suggellò con Corallo un'intesa che è stata utile ad Atlantis/Bplus nello svolgimento dei rapporti con l'Amministrazione dei Monopoli» tanto che proprio Fini, per il tramite del proprio segretario Francesco Proietti Cosimi, si sarebbe attivato per evitare la revoca della concessione ad Atlantis. Dall'ordinanza emerge un quadro meno idilliaco ed eroico del politico che diede il colpo di grazia alla destra almirantiana, che proclamò il «fascismo come male assoluto», che - con il beneplacito di Giorgio Napolitano - tramò contro l'ultimo premier eletto dagli italiani, che si propose come difensore della democrazia contro il «cesarismo» imperante.

Tutto finito.

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