Cronache

Ridotta in schiavitù e picchiata dai parenti. Arrestati 6 pakistani

Venticinquenne segregata in casa dal marito e dalla famiglia in nome di Allah: era costretta a lavorare fino allo sfinimento

Ridotta in schiavitù e picchiata dai parenti. Arrestati 6 pakistani

Benvenuti nell'Italia dell'integrazione. Dove lo straniero passa, eccome, si ferma, si insedia, non si adegua e ci catapulta in un Medio Evo post-moderno. Noi si seppellisce il Natale e si proibiscono le benedizioni pasquali... Dopo la bigamia d'importazione eccoci dunque- e non è la prima volta- a raccontare della schiavitù «naturalizzata» in nome di Allah. Una ragazza di nome Hina Saleem dieci anni or sono ci lasciò la pelle, ammazzata in quel di Brescia, da padre, zio e un paio di cognati. La sua colpa? Essersi occidentalizzata ed avere un fidanzato italiano.Anche Neelam è pakistana, lei, solo, è stata un po' più fortunata: respira ancora. Ma ha perso un figlio nato prematuro per le botte e ha trascorso almeno gli ultimi quattro dei suoi 25 anni, in stato di «prigionia». Segregata in casa, brutalizzata, picchiata, ridotta a schiava. Una storia di squallore, degrado, fanatismo, un orrore che ci arriva dal nostro Nord operoso e non più prosperoso. Carnago Magnago, pochi chilometri dai campi d'allenamento del Milan, provincia di Varese, a mezza strada dalla Madonnina.Sono dovuti arrivare i carabinieri di Busto Arsizio a liberare questa Cenerentola figlia di un distopico Terzo Millennio. Arrestando il marito e la suocera, i due aguzzini in capo, mettendo ai domiciliari il suocero e i suoi tre figli.Per loro Neelam, doveva lavare, pulire, cucinare, stirare. Per andare in bagno doveva chiedere il permesso, così come per coricarsi. Per lei la dispensa chiusa a chiave: pranzo e cena una concessione. Arrivata in Italia, aveva sposato (chissà se obbligata) con rito islamico, e poi con rito civile, un connazionale. Muhammad Sajid, ex venditore di fiori ora operaio. Un uomo all'inizio tranquillo, trasformatosi giorno dopo giorno, con la frequentazione delle solite moschee travestite da centri culturali islamici, in un oltranzista. Si indottrinava un po' a Legnano, un po' a Gallarate. Si era fatto crescere la barba, a norma di Corano e - spiegano i carabinieri guidati dal capitano Marco D'Aleo- stava radicalizzandosi.A pagarne le conseguenze, Neelam, madre di un bimbo nato nel 2012 (il secondo lo aveva perso lo scorso anno), schiava del marito e della sua famiglia. Non poteva neanche uscire da quella prigione che era diventata la sua casa. Nessuna telefonata, nessuna possibilità di comunicare neanche col fratello che vive non lontano. I colloqui con lui dovevano avvenire in «vivavoce». In paese nessuno s'era accorto di nulla, tantomeno sapeva nulla. È stato proprio quest'ultimo, con l'aiuto di una volontaria che lo ha convinto ad intervenire, a sporgere denuncia. A loro è servito qualche mese di indagini per presentarsi nell'abitazione-prigione di via Maroncelli, con gli ordini di custodia cautelare firmati dalla Dia di Milano. Incredibili le modalità con le quali i nostri carabinieri hanno dovuto procedere agli arresti. Tutto per evitare quelle reazioni scomposte cui purtroppo spesso le comunità musulmane ci hanno abituati. Prima di essere portata in caserma, la suocera ha preteso di essere vestita completamente dalla figlia 23enne, calzatura di scarpe e abbottonatura di camicia comprese; la figlia, non essendo sposata, non potendo accompagnarsi da sola con altri uomini (i carabinieri) rifiutava di salire sulla «gazzella» dell'Arma da sola. Si è lasciata caricare solo con la mamma. Sceneggiata simile ha recitato Sajid. In divisa strettamente islamica (tunica e copricapo d'ordinanza) ha accettato di farsi portare in guardina non prima che gli venisse consentito di recitare le preghiera del mattino. Il tutto, come vuole il rito, dopo una lunga fase di «lavaggio», del corpo.

Quanta fede anche per mettere qualche manetta.

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