Economia

La riforma delle Popolari mette all'angolo gli alfaniani

Il ministro dell'Interno non ha la forza per opporsi alla trasformazione degli istituti di credito in Spa. A spalleggiarlo solo i partiti d'opposizione

La riforma delle Popolari mette all'angolo gli alfaniani

Roma - Il fragore della bomba ha squassato un milieu tradizionalmente poco avvezzo ai grandi cambiamenti. La riforma delle banche popolari, promossa dal governo Renzi per decreto, trasformerà (o, per meglio dire, intende trasformare) in società per azioni gli istituti di credito nati oltre un secolo fa con scopi mutualistici e tutt'altro che speculativi. L'apertura completa al mercato con il superamento del voto capitario (una testa un voto indipendentemente dalle azioni possedute) e dei limiti al possesso delle quote era un traguardo che la Bce, la Banca d'Italia e gli investitori internazionali aspettavano da tempo. Il premier è stato furbo: ha fatto esplodere l'ordigno in un momento nel quale l'opinione pubblica è frastornata dalle diatribe quotidiane sul Quirinale e sulle riforme istituzionali.

Ma c'è un effetto collaterale di questo improvviso attacco al cuore della «finanza bianca» (le Popolari sono di provata fede cattolica): un pezzo di maggioranza è finito nell'angolo. Stiamo parlando di Area popolare, ossia l'unione tra l'Ncd di Angelino Alfano, l'Udc di Pier Ferdinando Casini e le schegge democristiane di Scelta Civica. L'ex delfino del Cav, non troppo velatamente, si era fatto carico di preservare l'identità e la specificità di questa parte importante del mondo bancario italiano che vale il 15% dei prestiti a famiglie e imprese con oltre 290 miliardi di euro nel 2013.

Oggi Alfano e i suoi si ritrovano a protestare senza, però, avere il potere contrattuale necessario per rovesciare il tavolo. Anche volgere il capo dall'altra parte, visto il miglioramento delle relazioni con Forza Italia, servirebbe a poco: il Cav, sebbene amico delle Popolari, è sempre stato favorevole a una loro riforma e lo ha fatto sapere di recente tramite Mariastella Gelmini. A Ncd non è rimasto che testimoniare l'appoggio alla causa con un'intervista concessa ieri dal ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ad Avvenire , il quotidiano della Conferenza episcopale italiana che ha bollato come negativa la trasformazione in spa delle cooperative più importanti. «Questo decreto è un errore», ha dichiarato aggiungendo che «ora abbiamo 60 giorni per migliorarlo anzitutto ascoltando le stesse Popolari, provando ad accelerare e recepire l'autoriforma che stavano elaborando».

Un chiaro riferimento al progetto di modifica degli statuti volti ad aumentare la partecipazione al capitale dei fondi di investimento che Assopopolari (l'associazione di categoria) stava portando avanti con l'aiuto del professor Angelo Tantazzi. Non è detto che non si arrivi a uno stop: Assopopolari, governata dai presidenti delle quattro big (Carlo Fratta Pasini del Banco Popolare, Andrea Moltrasio di Ubi, Piero Giarda di Bipiemme ed Ettore Caselli di Bper), non intende lasciare «nulla di intentato» per bloccare il decreto e un giudice, fosse anche della Consulta, pronto a bloccare tutto in Italia si trova sempre.

Ovviamente c'è anche un altro risvolto politico. In questa battaglia di posizione Ncd si ritrova, stranamente, a fianco delle riottose «minoranze» parlamentari. Sono contrari alla riforma i fittiani di Forza Italia (ma c'è anche un berlusconiano doc come Maurizio Gasparri), gli eterodossi antirenziani del Pd come Francesco Boccia, la Lega «barricadera» di Matteo Salvini, i grillini e Fratelli d'Italia.

Insomma, sembra proprio un contrappasso per una formazione come Ncd, nata per essere forza di governo.

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