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"Il rischio zero non esiste ma i vaccini sono necessari"

L'industriale farmaceutico: "Vengono criticati perché molte malattie sono debellate e non fanno più paura"

"Il rischio zero non esiste ma i vaccini sono necessari"

Milano - Vaccini e farmaci tra certezze e paure. Con BigPharma a moltiplicare i profitti. Un campo minato perché in gioco c'è la salute. Ne parliamo con Sergio Dompé, presidente del gruppo farmaceutico omonimo, già al vertice, per anni, di Farmindustria e Assiobiotec. Imprenditore stimato in Italia e all'estero, che accetta di rompere la sua normale riservatezza con il Giornale: possibile che un farmaco possa nuocere a chi lo assume?

«Qualsiasi esposizione della natura umana alla vita comporta una serie di rischi. In questa dinamica il contributo del farmaco è preciso: curare le malattie. Mentre le diverse autorità sanitarie valutano non solo l'effetto del farmaco, ma anche gli effetti collaterali. Il bilancio di questi due risultati è quello che offre la valutazione finale».

Sono gli effetti collaterali a finire sotto accusa.

«Non esiste un mondo ideale, cioè senza effetti collaterali. E questo vale per tutto, non solo per l'assunzione di un farmaco. Noi aziende farmaceutiche siamo obbligati a elencarli tutti. Ed è corretto, anzi direi che è un obbligo morale, evidenziare anche quelli riscontrati in casi rarissimi: uno su centomila o anche uno su un milione. Ma è il medico, poi, che deve valutare qual è il farmaco migliore per il singolo paziente».

Ma i vaccini sono pensati per milioni di persone.

«Nel caso dei vaccini c'è un'enorme valenza. Certe vaccinazioni nei paesi africani hanno ridotto la mortalità infantile del 90, anche 99%. Poi rappresentano il migliore approccio per limitare i costi fisici, morali, economici di una malattia. Si calcola che un euro investito in vaccino ne porti 50-60 di risparmio complessivo, calcolando l'incidenza della malattia nella popolazione prima e dopo la vaccinazione».

Dica ancora degli effetti indesiderati dei medicinali: come valutare questi rischi?

«Il modo corretto è quello di avere la maggiore conoscenza possibile e lasciare che questa venga amministrata da chi lo fa per professione: non si può disintermediare il medico. Se il primo che passa le parla di un effetto collaterale di un farmaco e lei non lo utilizza più, può essere sbagliatissimo se quel farmaco contribuisce a farla stare lontano dalla malattia. Solo il medico può valutare il rapporto rischio beneficio. Il rischio zero non c'è nemmeno nell'uscire di casa. Il rischio di un farmaco è però collegato a un'opportunità ben preziosa: stare bene in salute».

È che sui medici se ne dicono tante, come sui rischi di corruzione con le case farmaceutiche e le agenzie di vigilanza: si è insinuato il dubbio che non ci si possa più fidare.

«L'atteggiamento di diffidenza è di per sé sempre positivo. Chi vuole andare a consultare le fonti alternative, lo faccia, sono favorevole: la conoscenza è data da una pluralità di fonti. Ma più è vasto l'argomento, più è importante confrontare fonti qualificate tra loro. Un farmaco o un vaccino che arrivano in commercio hanno un costo medio della ricerca di un miliardo di dollari e 12-13 anni di lavoro di ricerca alle spalle, nei quali si esaminano milioni di dati, con esperti che vengono da tutto il mondo. Se abbiamo dei dubbi, andiamo a vedere cosa dicono le autorità nazionali ed europee. Poi anche quelle Usa, l'ente nazionale giapponese per la salute. E ancora, le prime 30 università del mondo. Oggi si può fare, non è difficile. E se tutti dicono la stessa cosa, come faccio a credere a qualcosa di diverso? L'ipotesi che la corruzione prenda il sopravvento deve essere sempre presente. Ma bisogna guardare chi la solleva, quanto è autorevole, che dati ha. Ho sempre apprezzato la diffidenza nel giornalismo investigativo ed è uno dei motivi perché stimo Report con le sue inchieste giornalistiche documentate. Ma questa sui vaccini mi pare una scivolata, sono rimasto molto sorpreso».

Da dove arriva questa ondata no vax?

«Dal fatto che alcune malattie siano scomparse e allora non fanno più paura. Ma sono sparite grazie alla conoscenza. Ecco: mi piacerebbe che l'economia del mio Paese fosse basata sulla conoscenza. E sul merito. Non dico di ascoltare le industrie farmaceutiche: abbiamo scienziati, ascoltiamo questi. Negli ultimi 50 anni, l'aspettativa di vita è aumentata di 11 anni: non è solo merito dei farmaci, ma anche dell'alimentazione, della diagnostica, dello stile di vita.

Ma tutto questo insieme è conoscenza».

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