Cronache

Il ritorno alla macchina da scrivere per difendersi dagli attacchi hacker

La scelta anti-spionaggio dei servizi segreti russi e americani

Il ritorno alla macchina da scrivere per difendersi dagli attacchi hacker

Una macchina da corsa che «sprinta» tra la storia. E una macchina da scrivere che, la storia, la racconta. In via Menabrea, a Milano, da 12 anni c'è un museo unico nel suo genere: lo riconosci da un silenzioso tictac, che non senti con le orecchie, ma percepisci solo con l'immaginazione.

Qui infatti, al civico 10, sorge il santuario della macchina «da» (o «per») scrivere: entrambe le forme - a parere dell'Accademia della Crusca - sono «ugualmente corrette». A spolverare, ogni mattina, una collezione da oltre mille cimeli, è Umberto Di Donato, 82 anni (ma ne dimostra almeno 20 di meno), che sta alla conoscenza delle typewriter come Tazio Nuvolari stava a quella delle «sbandate controllate». E, nella sua vita, di «sbandate» Umberto ne ha prese più di migliaio: una per ognuna delle sue macchina da scrivere, con cui non ha mai smesso di «flirtare».

Oggetti dal fascino incancellabile, che i racconti appassionati di Umberto trasformano in spy story alla Tom Clancy. L'ultima scoperta di Di Donato, ex funzionario di banca, campano d'origine ma lombardo di adozione, è clamorosa: «Kgb e Cia, scottati dagli attacchi hacker e dal cyberspionaggio (vedi scandali Datagate e Snowdens, ndr) hanno deciso di tornare a usare le macchine da scrivere per redigere documenti top secret». Ma non sarà mica una fake news? Di Donato non si scompone e da una pila di appunti ci porge un report in cui la notizia viene sviluppata con tanto di fonti accreditate, come ad esempio il quotidiano russo Izvestija che ha registrato il parere di Vladimir Luzenko, ex responsabile del dipartimento del Kgb per la lotta al terrorismo: «Se un documento top secret deve restare tale, molto meglio la vecchia macchina da scrivere. La destinazione precisa degli apparecchi resta ignota, l'ordine prevede anche l'acquisto di cartucce e nastri per i vari modelli». Per realizzare i quali dovranno essere riattivate le vecchie linee di produzione, ormai chiuse da anni.

«Quando i servizi segreti Usa hanno saputo dell'iniziativa dei loro colleghi russi - ci rivela l'inventore del Museo della macchina da scrivere - hanno subito seguito il loro esempio, rivolgendosi a vecchie glorie del passato come Remington e Underwood». Una memorabile rivincita per le ex «regine meccaniche» (dagli eleganti nomi come Royal, Olympia, Hammond, Adler...) che per quasi due secoli hanno troneggiato sulle scrivanie degli uffici di tutto il mondo. E uno schiaffo morale per lo scrittore dissidente Vladimir Voinovich che ebbe a definire Putin «obsoleto come una macchina da scrivere nell'epoca dello smartphone». Idem per quell'editorialista del Whashington Post che bollò Trump, fresco di elezione alla Casa Bianca, con uno sprezzante «old typewood» («vecchia macchina da scrivere»).

L'ultima fabbrica che produceva questi gioielli «tecnologici» era in India, e ha definitivamente chiuso i battenti nel 2011. Ma il mercato resta comunque vivo e vegeto, considerati i milioni di esemplari che ancora circolano nel mondo. Nel museo di Di Donato (che alle sue «creature» ha dedicato ben 4 libri) c'è profumo di inchiostro. La sua è una «tipografia del cuore» perfettamente funzionante. Chiuse in vetrina le «regine» non hanno perso smalto: ci sono i tasti su cui hanno composto gli articoli gente come Montanelli, Matilde Serao, Mussolini, Camilla Cederna e tanti altri scrittori famosi. Una chicca tra le tante: un pezzo unico del Terzo Reich con un tasto per «battere» sui documenti il simbolo della Waffen-SS realizzato appositamente per la segreteria di Hitler. Ma, quasi a voler stemperare l'orrore della corrispondenza nazista, ecco spuntare pure la macchina da scrivere di Barbie.

«Ognuno di questi oggetti nasconde un'anima - narra Di Donato Tra le macchine donate, anche quella di una cronista morta prematuramente: Con questa Olivetti mia figlia scriveva i suoi reportage. Metta affianco alla macchina la sua foto sorridente».

E ogni volta che passa davanti a quella foto, un po' si commuove.

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