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La rivolta degli imprenditori

La rivolta degli imprenditori

Roma E se gli imprenditori scendessero in piazza a fianco di sindacalisti e lavoratori? Non è affatto un'ipotesi remota. Soprattutto nel Nordest, tutto casa, lavoro e impresa. Lì dove il consenso per la Lega resiste, grazie alla politica anti-immigrazione cavalcata dal ministro degli Interni Matteo Salvini, si fa più forte il malcontento per le promesse non mantenute proprio dal Carroccio. E gli imprenditori veneti si sentono in qualche modo traditi e soprattutto non riescono a nascondere ansie e paure per la nostra economia. Il primo a lanciare l'ipotesi di una serrata degli imprenditori è stato il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, giovedì scorso nel corso di un incontro pubblico a Cortina d'Ampezzo. «Vorrei che il governo passasse dalla fase adolescenziale a quella adulta», dice. Per poi chiudere con una velata ma significativa minaccia: «Non vorrei essere il primo presidente che porta gli industriali in piazza». L'ultimatum è fissato. Fino alla presentazione della Legge di bilancio non ci saranno proteste plateali. Gli industriali, però, sono sul piede di guerra. E nel Nordest vivono una condizione paradossale: non possono nemmeno alzare troppo la voce visto che lì, da quelle parti, le mosse anti-immigrazione di Salvini trovano un consenso diffuso. «Eppure - spiega il presidente di Confindustria Veneto - la tenuta dei salari e dei posti di lavoro dipende anche, se non soprattutto, dalla salute delle imprese». A spaventare è la «cultura anti-impresa dell'esecutivo», come la definisce l'imprenditore e rappresentante della categoria per il comparto del Veneto centrale Massimo Finco, intervistato dalla Stampa. In questo caso è la Lega ad appiattirsi sulla politica dei Cinque Stelle e tante idee e promesse presenti nella campagna elettorale del centro-destra e sottoscritte dalla Lega sono scomparse dopo la sigla del «contratto di governo». Restano, insomma, i nodi insoluti del Decreto dignità, dell'Ilva, l'abbattimetno del Jobs act per non parlare poi dell'ultima «moda» delle nazionalizzazione sull'onda della commozione per il crollo del ponte Morandi a Genova. La congiuntura non spaventa soltanto le grandi imprese. Anche i piccoli tremano. L'ufficio studi della Cgia di Mestre ha diffuso i dati sulle micro-imprese (con meno di venti dipendenti). «Sono quattro milioni e danno lavoro a otto milioni tra operai e impiegati. Pari al 56,4% di tutti gli addetti del settore privato». Un record nell'Eurozona la cui media è del 39,9%. «Si tratta dell'asse portante della nostra economia - spiega il segretario della Cgia di Mestre, Renato Mason -, purtroppo ce ne accorgiamo quando non ci sono più, visto che assolvono un ruolo sociale vitale». Le chiusure di tanti piccoli esercizi, soprattutto nelle periferie urbane, rendono infatti le nostre città meno sicure.

Nonostante la frenata del Pil, però, si possono leggere anche alcuni timidi dati positivi come il leggero incremento degli occupati (lo 0,2% in più rispetto al 2017).

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