Coronavirus

La rivolta dei sindaci. "Premier scorretto". Poi media il Quirinale

Ira per lo scaricabarile di Conte. Solo l'intervento del Colle evita lo strappo

La rivolta dei sindaci. "Premier scorretto". Poi media il Quirinale

Non siamo sceriffi. Non siamo stati consultati. Non abbiamo i poteri né gli uomini per chiudere le piazze. Non parteciperemo più alle cabine di regia. Non siamo il bidone della spazzatura del governo. Insomma, se volete il coprifuoco fatelo da soli. Ma la rivolta dello spritz dei comuni dura una notte e una mezza giornata, il tempo che la diplomazia del Colle si muova con felpata discrezione e spenga la questione, giunga ormai a un passo dal conflitto istituzionale. Conclusione: i sindaci, spiega Giuseppe Conte, «individueranno e segnaleranno» i luoghi della movida troppo affollati e lo Stato, attraverso prefetti e forze dell'ordine, provvederà a sigillarli.

Tutti contenti? Mica tanto, perché il braccio di ferro sulle competenze, su chi fa che cosa, è stato duro. Quando l'altra sera Conte, presentando il Dpdc nel cortile di Palazzo Chigi, ha tirato in ballo i sindaci, scaricando loro la responsabilità di disperdere gli assembramenti alcolici, Antonio Decaro, primo cittadino di Bari e presidente dell'Anci, è sobbalzato. «Non si fa così, questa è una grave scorrettezza istituzionale». Poco importa se nei mesi scorsi proprio lui è stato visto sbracciarsi al porto per disperdere la folla e convincere i suoi cittadini a indossare la mascherina, o a lamentarsi perché «noi non vogliamo essere esecutori di decisioni altrui». Decaro stavolta ha chiamato il premier e ha protestato con molta energia. «Quella misura è inapplicabile e noi non siamo stati ascoltati». E dietro di lui quasi tutti i sindaci d'Italia, di centrodestra e di centrosinistra. Persino la grilllina Chiara Appendino, Torino, ha rifiutato l'incarico, parlando di «mancanza di concertazione».

L'articolo della discordia era stato inserito nel decreto domenica pomeriggio su decisa pressione di Dario Franceschini, capofila dell'ala interventista del Consiglio dei ministri, che da settimane chiede una stretta maggiore. Decaro però ha tenuto Conte alla cornetta quasi tutta la notte, dando sfogo alla rabbia della categoria, forte dell'appoggio dei suoi colleghi. Fabrizio Fracassi, Pavia: «Non abbiamo abbastanza vigili urbani». Dario Nardella, Firenze: «Se lo Stato vuole il coprifuoco, lo applichi. Se vuole un provvedimento strada per strada, ci dia gli strumenti». Luigi Brugnaro, Venezia: «Una norma confusa, la riscrivano. Si stanno togliendo libertà costituzionali senza alcun voto del Parlamento». Paolo Truzzu, Cagliari: «Ci vogliono lasciare con il cerino in mano». Giorgio Gori, Bergamo: «Se la gente si sposta nella piazza accanto, che si fa?». Leoluca Orlando, Palermo: «Bisogna coinvolgere carabinieri e polizia».

Finché, nottetempo, la parola «sindaci» è stata cancellata. In mattinata il ministro Francesco Boccia ha provato a ricucire. «Nessuno scaricabarile, il sindaco e la massima autorità sanitaria cittadina e può prendere provvedimenti». Ma per chiudere le piazze servono le forze dell'ordine, così è scesa in campo pure Luciana Lamorgese: il Viminale ha mobilitato i comitati locali per l'ordine pubblico. Nel pomeriggio Decaro si è ammorbidito: «Se il nostro compito sarà indicare vie e luoghi per evitare i contagi, lo faremo. Però lo Stato dovrà assicurare il controllo con perfetti e questori».

E in serata la rivolta è finita: a Bari ci sono già quindici piazze chiuse.

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