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La rivoluzione di Berlusconi comincia dalle Regionali: l'ora del Partito repubblicano

Oggi a Genova la prima tappa del nuovo percorso politico del Cavaliere, che ieri ha lanciato l'appello ai moderati: "La sinistra si batte col modello Cameron". Attesa per il confronto diretto con Renzi a Napoli

La rivoluzione di Berlusconi comincia dalle Regionali: l'ora del Partito repubblicano

Roma - Nell'immediato c'è l'apertura della sua campagna elettorale per le Regionali, la prima uscita prevista per oggi a Genova. Silvio Berlusconi arriverà nel capoluogo ligure e, dopo aver visitato alcuni luoghi della città, interverrà con il candidato e suo consigliere politico Giovanni Toti, dal palco del Teatro della Gioventù. Molto atteso è anche il possibile confronto diretto con Matteo Renzi, fissato per il 16 maggio a Napoli, con comizi contemporanei dei due leader nella stessa città. Così come il presidente di Forza Italia, oltre alle tappe pugliesi, sta lavorando su alcuni appuntamenti elettorali in Umbria.

Berlusconi, però, al netto degli impegni politici imminenti, continua a riflettere e a lavorare per la rifondazione del centrodestra e per il lancio del progetto del Partito Repubblicano, un'operazione che inizierà all'indomani delle Regionali. Ieri in serata è arrivato una sorta di «appello ai moderati», l'invito a ritrovare le ragioni dello stare insieme, partendo dalla necessità di dare risposta a una domanda politica sempre più forte nel Paese. «Cameron è risultato vincente perché ha saputo proporre un progetto pragmatico, moderato, chiaro e coerente - ha detto il Cavaliere - le posizioni radicali e antieuropee hanno raccolto parecchi consensi ma non sono mai riuscite a prevalere. Anche queste elezioni hanno dimostrato che la sinistra si batte solo con un progetto liberale, capace di raccogliere il consenso di tutto il centrodestra moderato».

Giovedì sera nell'incontro con i giovani di Azzurra Libertà, Berlusconi ha annunciato che «un percorso sta per iniziare». Nessuno si illude di vincere le resistenze dei vari soggetti di centrodestra nel giro di poche settimane. È arrivato, però, il momento di battere un colpo. Antonio Tajani e Deborah Bergamini stanno lavorando sul fronte dei contatti internazionali con il primo appuntamento fissato con i francesi dell'Ump ai primi di giugno (gli iscritti francesi, peraltro, a fine maggio decideranno proprio se chiamarsi «I Repubblicani» in una consultazione pubblica degli iscritti). Vengono tenuti vivi anche i contatti con i Repubblicani statunitensi e si studiano modelli e logiche del loro marketing politico, così come una nuova strategia di fidelizzazione, senza più i signori delle tessere, magari con meno iscritti al partito, ma più attivi e motivati.

Le vittorie di David Cameron in Gran Bretagna, così come quella di Sarkozy in Francia alle dipartimentali confermano che il vento dell'estrema destra soffia forte ma non porta alla vittoria. Servono, piuttosto, idee di destra incarnate da partiti percepiti come responsabili e affidabili. «È una lezione di cui dobbiamo assolutamente tenere conto» spiegano. «Gli estremismi non vengono premiati. Servono ricette serie, anche attraverso una difesa forte degli interessi nazionali. Risposte che i governi di sinistra, come dimostra la gestione dell'emergenza immigrazione, non sono in grado di dare perché non è nel loro Dna». Tutti fattori che non possono che accelerare il progetto «Repubblicano». Insomma, come dice Paolo Romani, è arrivato il momento di «riaprire il laboratorio di centrodestra, la legge elettorale ci obbliga ad avere un partito che abbia come base idee chiare e comprensibili». Il modello è quello dei repubblicani americani che prevede la convivenza di anime diverse, ma capaci di convivere in uno scenario tendente al bipartitismo, così come previsto dall'Italicum. «Il voto inglese» scrive il Mattinale del gruppo parlamentare «è una forte conferma, in altro contesto, della intuizione lungimirante di Berlusconi per quello che dovrà essere il nostro Partito Repubblicano.

Ancorato certo in Europa al Ppe, ma disancorato dai canoni verbosi e otto-novecenteschi delle democrazie continentali e maggiormente proiettato sulla maturità e leggerezza insieme delle prime democrazie del mondo, quelle anglosassoni».

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