Cronache

La rivoluzione a scuola Pechino corregge i libri: via i contenuti stranieri

Stretta sui testi e blitz negli istituti. Nuovi dubbi su Google: lascia tracciare gli utenti

La rivoluzione a scuola Pechino corregge i libri: via i contenuti stranieri

Era il 2015 quando l'allora ministro della Pubblica istruzione Yuan Guiren promise che «i libri scolastici che promuovono i valori occidentali non entreranno mai nelle classi cinesi». Oggi Pechino ribadisce il concetto: via tutti i contenuti stranieri e quelli non autorizzati dai testi su cui studiano gli alunni della Repubblica popolare. Le scuole e gli editori hanno tempo fino al 15 ottobre per rivedere i materiali non conformi alle direttive del governo. Poi scatterà la controffensiva del ministero.

A riportare la vicenda è il quotidiano ufficiale Global Times. L'esecutivo guidato da Xi Jinping è si è messo in allerta dopo la notizia che alcuni editori avrebbero cambiato il contenuto dei libri scolastici senza permesso, mentre alcuni istituti avrebbero sostituito materiali nazionali con libri stranieri. Apriti cielo: le scuole dovranno inviare alle autorità tutto ciò che non è stato vidimato dal governo centrale, che provvederà a ripulirlo da parole e passaggi ritenuti pericolosi. La versione finale, approvata dai burocrati del Celeste Impero, potrebbe non essere unitaria: la Cina è grande, i diversi Stati hanno esigenze differenti e gli studenti avranno i propri libri ritagliati su misura. Nei prossimi mesi seguiranno poi ispezioni e controlli a sorpresa tra i banchi. La stretta riguarda gli istituti primari e secondari, cioè l'istruzione obbligatoria, e rientra nella campagna che Pechino sta portando avanti da alcuni anni che prevede un rafforzamento dell'insegnamento del marxismo e del socialismo di matrice cinese e l'eliminazione di qualunque passaggio «occidentale» o mirato a screditare il Partito comunista. «La scuola dell'obbligo è il momento chiave in cui i giovani imparano la storia nazionale e la cultura tradizionale - ha detto al Global Times Wang Sixin, professore di Comunicazione all'Università di Pechino -. Deve esserci una narrazione coerente, altrimenti i ragazzi potrebbero confondersi con insegnamenti diversi».

E c'è anche chi non si fa problemi a sottostare ai diktat del governo centrale. Google, ad esempio, che sta per ritornare operativo nel Paese dopo 8 anni di assenza con la sua nuova app «Dragonfly», un motore di ricerca per dispositivi Android sviluppato appositamente per la Cina. Già si sa che l'app si «autocensurerà», vietando i contenuti sgraditi al regime e già bloccati sul web, come le informazioni sui dissidenti politici, sulla libertà d'espressione e sulla democrazia. Ma il sito The Intercept ha appena svelato nuovi dettagli: non solo Google ha compilato una lista nera di termini che sarà impossibile cercare, tra cui «diritti umani», «protesta degli studenti» e «premio Nobel», ma il motore di ricerca sarà anche collegato con il numero di telefono del singolo utente. Questo significa che le ricerche individuali potranno essere facilmente tracciate ed è alto il rischio che il governo abbia accesso ai dati di Google e li usi per perseguitare chi non è in linea con Pechino, come già fa. Un mese fa 1.400 dipendenti del colosso Usa hanno firmato una lettera interna chiedendo di avere più informazioni sul funzionamento di Dragonfly, la stessa richiesta avanzata da 14 gruppi di difesa dei diritti umani, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch.

Google, per ora, tace.

Commenti